Caso Ilaria Salis, Meloni chiama Orbán. Ma per il premier il sistema giudiziario di Budapest è «il più solido di tutta l’Ue»

La presidente del Consiglio sente l’omologo ungherese per «porre la sua attenzione sul caso nel rispetto dell’indipendenza della magistratura». Lui, intanto, tesse le lodi dello stato di diritto nel Paese

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha telefonato al primo ministro ungherese Viktor Orbán per «porre la sua attenzione» sul caso di Ilaria Salis, la 39enne italiana detenuta da quasi un anno a Budapest in attesa di processo e portata in tribunale ieri (non per la prima volta) con manette, ceppi e catene. Un’attenzione che Meloni ha sollecitato, fa sapere Palazzo Chigi, «nel pieno rispetto dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura ungherese», ma anche «facendo seguito alle iniziative diplomatiche già avviate a partire dal 22 gennaio del vicepresidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Antonio Tajani con il suo omologo ungherese Peter Szijjarto». Un riferimento alla convocazione questa mattina a Roma dell’incaricato d’Affari dell’Ungheria e della parallela richiesta d’incontro a Budapest del nostro ambasciatore col capo della diplomazia ungherese, per far pervenire «un forte messaggio di contrarietà alle condizioni di detenzione di Salis, inammissibili e non in linea con la direttiva comunitaria». Meloni e Orbán d’altra parte si vedranno dopodomani a Bruxelles, dov’è in programma il vertice straordinario dei 27 capi di Stato e di governo dell’Ue sul rifinanziamento del sostegno all’Ucraina, ed è possibile – benché al momento non vi siano conferme -che i due affrontino la vicenda in un incontro più o meno ad hoc. Un test chiave per Meloni, stretta tra la necessità di difendere i diritti di una giovane connazionale che si dichiara innocente da un lato e i rapporti delicati con un governo alleato dall’altro.


La linea temeraria di Orbán

Ma che ne pensa davvero della vicenda Salis, Viktor Orbán? Il premier di Budapest protegge il sistema giudiziario che lo consente? Ci ha messo addirittura magari la sua «buona parola», complice la radice politica della vicenda (una “spedizione punitiva” di un gruppo antifascista ad un raduno neonazista)? O se ne tiene alla larga, in nome della “sacra” divisione dei poteri? Sin qui il premier ungherese non si è espresso, e fonti di Budapest si sono trincerate oggi dietro un arcigno “no comment”, osservando che la questione-Salis è «delicata». Eppure Orbán alcuni segnali indiretti ma chiari li ha inviati proprio nelle scorse ore. Intervistato in esclusiva dalla rivista francese Le Point, il premier ungherese è tornato ad attaccare l’Unione europea sulla questione degli aiuti all’Ucraina, rispolverando tutto il suo arsenale critico: l’insostenibilità del sostegno prolungato a Kiev, i problemi connessi, la necessità di aprire al più presto negoziati di pace con la Russia. E poi la denuncia dei «ricatti» di Bruxelles al Paese magiaro: gioco facilissimo dopo che il Financial Times ha svelato nei giorni scorsi un piano delle istituzioni Ue per colpire e far affondare l’economia ungherese se Orbán dovesse davvero mettere il veto sul piano di sostegno da 50 miliardi di euro a Kiev. Apriti cielo, nonostante le smentite di maniera delle solite «fonti Ue». Nello smascherare quelli che considera «bluff» dell’Ue per colpire in realtà chi la pensa diversamente dal mainstream su Lgbt, guerra e migranti, Orbán si spinge però più lontano. Sostiene che lo stato di diritto nel suo Paese gode in realtà di piena forma, e che il suo «fiore all’occhiello» sarebbe, sorpresa, proprio il sistema giudiziario. Promosso a pieni voti dalla stessa Ue, sostiene: «La Commissione europea ha dichiarato che il sistema giurisdizionale è corretto – sostiene Orbán – Disponiamo pertanto del sistema giudiziario controllato e ricontrollato più solida di tutta l’Unione europea». Di come si comportano i suoi tribunali, insomma, Orbán sembra andare più che fiero. Quanto al governo Meloni, invece, Orbán ha negato che questo sia un suo alleato nel quadro dell’Ue. Alla domanda se sia un suo sostegno rispetto a una serie di battaglie comuni, alla rivista francese Orbán ha replicato seccamente: «No, siamo soli. Siamo noi contri gli altri 26. Una situazione difficile purtroppo».


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