Il clamore mediatico e politico suscitato dalle immagini in ceppi di Ilaria Salis in un’aula di tribunale in Ungheria è certamente servito a migliorare le sue condizioni di detenzione, con un’attenzione particolare mostrata dal governo ungherese e qualche concessione fatta alla detenuta. Ilaria ora può comunicare regolarmente con l’esterno del carcere e grazie a queste comunicazioni ha potuto ottenere anche alcune facilitazioni. Fra queste l’utilizzo di un phon per asciugarsi i capelli in cella dopo esserseli lavati.
Lo stesso clamore mediatico complica invece l’aspetto più importante per il futuro della imputata italiana: l’iter processuale. Il caso era sostanzialmente ignoto all’opinione pubblica ungherese, ma da due settimane in tv, in radio, sui social e sulla stampa non si parla d’altro. Circolano quasi ossessivamente le immagini con volti tumefatti e varie ferite delle vittime degli assalti del febbraio 2023 cui Ilaria è accusata di avere partecipato. Gli stessi in questi giorni sono spesso intervistati e ospitati in tv a raccontare cosa accadde in quei giorni. Questo non aiuta la serenità del processo a Ilaria, perché il pressing dell’opinione pubblica interna le è molto sfavorevole e può condizionare la serenità del giudizio.
Due capi di accusa e tre episodi contestati ad Ilaria
In questo caso è una fortuna la lentezza del processo, con la prossima udienza fissata a metà maggio. Quel giorno verranno fatti sfilare i testimoni di accusa nei confronti della attivista italiana, e probabilmente verranno mostrate in aula le prove raccolte dalla polizia. Sono due i capi di accusa nei confronti di Ilaria. Il primo è quello di partecipazione ad organizzazione politica criminale, che nell’ordinamento ungherese è reato assai simile a quello esistente in Italia all’epoca delle leggi speciali contro il terrorismo: comporta una pena da 2 fino a un massimo di 12 anni di carcere. Il secondo capo di accusa riguarda l’assalto e le percosse (si era ipotizzato perfino il tentato omicidio) nei confronti di tre singole vittime. Ilaria si dichiara innocente, ma secondo l’accusa avrebbe partecipato attivamente a due diversi assalti nei confronti di due neonazisti che stavano passeggiando per conto loro e a un terzo assalto nei confronti di un comune cittadino ungherese che stava recandosi a un appuntamento con amici al ristorante e ha avuto la sfortuna di essere scambiato per un nazista.
La differenza con i coimputati tedeschi: un’accusa in meno e loro hanno collaborato
Due cittadini tedeschi erano stati arrestati con Ilaria, un uomo e una donna. L’uomo ha già patteggiato una pena di 3 anni avendo confessato la sua partecipazione all’organizzazione criminale di tipo politico. Dello stesso reato è accusata la cittadina tedesca cui è stato però consentito il ritorno in Germania dove è sorvegliata dalla polizia tedesca. La donna è sotto processo in Ungheria e si reca regolarmente alle udienze in stato di libertà. Né l’uomo né la donna però sono accusati dei tre assalti che sono imputati ad Ilaria. Hanno ammesso di appartenere all’organizzazione e hanno collaborato con gli inquirenti ungheresi. Dopo i loro interrogatori sono stati spiccati altri 11 mandati di cattura nei confronti di altrettanti cittadini tedeschi che apparterrebbero alla stessa organizzazione.
Alcune prove saranno portate soltanto nell’aula del processo
Sono noti i capi di accusa, ma in questo momento non le prove di accusa raccolte nei confronti di Ilaria. Le sole cose che si sanno è che la giovane italiana ha acquistato il biglietto per andare a Budapest insieme ad altri tedeschi coimputati e fatto il viaggio con alcuni di loro. Altra cosa che li accomuna è un bigliettino che avevano tutti in tasca con il nome e il numero di telefono di un legale – ritenuto difensore dell’organizzazione – a cui avrebbero potuto rivolgersi in caso di fermo e/o arresto durante quelle manifestazioni. Sugli assalti invece la sola documentazione nota è quella dei filmati e fotografie circolati anche in Italia e ripresi da tutti i media ungheresi. Ma è possibile nonostante il breve tempo trascorso fra i presunti fatti e l’arresto della Salis che gli inquirenti abbiano altro materiale probatorio. La legge ungherese sulla sicurezza consente alla polizia senza bisogno di autorizzazione di un giudice ogni tipo di indagine e anche l’arresto non in flagranza di reato. La polizia può fare uso di intercettazioni telefoniche e ambientali senza bisogno di preventiva autorizzazione.
La stessa sorte capitò a due imprenditori italiani nel 2019
Solitamente quando scatta l’arresto un certo numero di prove è raccolto in questo modo. Accadde qualche anno fa – nel 2019- per fatti diversissimi a due altri cittadini italiani: l’imprenditore Piero Pini, detto il “re della bresaola” e suo figlio Marcello. Furono arrestati con l’accusa di evasione fiscale e riciclaggio di denaro e portati in carcere a distanza di mesi prima il padre e poi il figlio. Solo dopo settimane di carcerazione preventiva assai dura vennero a conoscenza delle prove raccolte nei loro confronti prima di procedere all’arresto: documenti, intercettazioni telefoniche e intercettazioni ambientali. Piero Pini era già finito nei guai nel 2016 con la giustizia polacca, ed è di nuovo stato arrestato nel luglio scorso in Spagna insieme al fratello Mario per violazioni delle leggi sui diritti dei lavoratori e per molestia sessuale a una dipendente che aveva sporto denuncia. In tutti i casi si sono sempre dichiarati innocenti, ma in Ungheria la carcerazione preventiva è stata assai lunga prima di potere andare liberi al processo.
La difficoltà dei domiciliari in Italia, non chiesti dai legali dei Salis
Per sperare di portare Ilaria in Italia sia pure ai domiciliari non c’è via diplomatica possibile, anche perché confliggerebbe – come spiegato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani – con la situazione di altri 2mila connazionali detenuti all’estero in decine di altri Stati. Sarebbe giuridicamente possibile chiederlo solo nel caso che gli arresti domiciliari vengano concessi a Ilaria in Ungheria dal tribunale che sta facendo il suo processo. La premessa però è che quella misura di carcerazione (o detenzione dopo sentenza) domiciliare venga chiesta al tribunale dai legali della famiglia Salis. Il papà di Ilaria, Roberto, partecipando a Tagadà su La7 mercoledì 7 febbraio ha sostenuto di non averli potuti chiedere, «perché per ottenerli io e mia moglie avremmo dovuto trasferirci in Ungheria ottenendo la residenza a Budapest e poi magari un giorno andando a fare la spesa saremmo stati malmenati dai nazifascisti che circolano liberamente». In realtà non è necessario prendere la residenza, ma fornire un domicilio anche in un appartamento o in una stanza d’albergo presa in affitto dalla famiglia in cui Ilaria potrebbe scontare i domiciliari ed essere controllata dalla polizia. Una eventualità che forse verrà presa in considerazione dopo il verdetto dei giudici. Quindi non vicinissima.
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