Benissimo Vasco Brondi, Cosmo, Cor Veleno, Bugo e Tananai. Ma che disastro Tony Effe. Ecco le uscite della settimana: le nostre recensioni

Tony Effe – Icon

Grande confezione, grande hype, grandi nomi, grandi cerimonie, solita noia. Icon di Tony Effe è un corposo agglomerato di niente, di vuoto cosmico, di fuffa utilizzata per dipingere un immaginario. Forse, probabilmente (ma in fondo chissenefrega), reale. Ma senza un solo elemento che possa dirsi autenticamente artistico. Diciassette brani e non una sola intuizione, parole e marchi sguainati a vanvera, un via vai sfarzoso di nomi della scena rap che regalano due barre e convogliano i propri stream verso il disco, ma che poi altro non fanno che rivelarsi un’inutile collezione di figurine. Non un solo brano di questo album è da ritenersi anche solo lontanamente sufficiente, si orbita in scioltezza tra pezzi mediocri (GTA, Balenciaga, Sorry), perlopiù salvati dagli interventi di producer e feat, e pezzi ridicoli (Carrara, Lap Dance), che ci si stupisce come possano essere stati ritenuti degni di una pubblicazione. In generale poi suonano tutti in maniera identica. Attenzione: non simile. Identica, come il beep di un encefalogramma piatto. Tony Effe si considera un’icona, se lo dice da solo pure nella title track del disco, e mica gli si può dare torto: il ragazzo, dai tempi di quella sciagura musicale della Dark Polo Gang, rappresenta contemporaneamente in maniera esemplare il decadentismo intellettuale dell’odierna musica italiana e una sorta di ben poco subdolo compiacimento nel personificarlo e alimentarlo, come se fosse il paziente zero di questa orrenda malattia che provoca una costante ed ossessiva ricerca della semplicità, prima in chi ascolta la musica (che mica questi si ascoltano da soli, senza pubblico non si canta messa) e poi in chi la fa. E sì, nella nostra valutazione teniamo seriamente in considerazione l’estetica del genere, sappiamo che è così che va, così che si fa, così che ci si atteggia. Anche se a questo famigerato riscatto sociale, tutto oro e cash, nello specifico, crediamo pochino, considerato che Tony Effe la tipica infanzia difficile della periferia l’avrà vista giusto col binocolo. Altro che riscatto sociale. Ma teniamo anche in considerazione tutti quegli artisti, e fortunatamente sono tanti, che, messe alle spalle le spacconerie da giovinastri tutte droga, soldi e donne-oggetto, quell’estetica sono passati a metterla in discussione, sono passati all’utilizzo della disciplina rap come espressione artistica matura, celebrazione della parola ai confini, spesso oltrepassati, del cantautorato puro. C’è poi chi invece si ferma lì, ovvero qui, in album artisticamente inqualificabili come questo Icon. D’altra parte non manca niente per stare bene, se non forse, si spera, un futuro in cui non la musica brutta, ma perlomeno questo brutto approccio alla musica, non esisterà più. Non succede, ma se succede…