Scuola, il «tetto» agli alunni stranieri esiste già ed è nato per favorire l’integrazione. Ecco come funziona

Il leader della Lega non ha fatto nient’altro che rispolverare una linea già formulata nel 2010 in una circolare dell’allora ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini, tuttora in vigore

Dietro la polemica creata dalla proposta del vicepremier Matteo Salvini di mettere un tetto del 20% agli alunni stranieri in classe non c’è nulla di nuovo. Il leader della Lega non ha fatto nient’altro che rispolverare una linea già formulata nel 2010 in una circolare dell’allora ministra dell’Istruzione Mariastella Gelmini, tuttora in vigore. Ogni anno, infatti, quando vengono organizzate le classi, le scuole devono rispettare questa circolare, la quale stabilisce che la percentuale di alunni stranieri non può superare il 30% del totale degli iscritti in ciascuna classe. Lo scopo è garantire una distribuzione equilibrata degli studenti di cittadinanza non italiana tra le scuole di una determinata area geografica. Questa direttiva si applica a tutti gli istituti, dall’infanzia alle superiori. Tuttavia, la circolare è piuttosto elastica, proprio in virtù della consapevolezza delle specificità di ogni territorio. La circolare prevede, infatti, che il limite del 30% possa essere aumentato se gli alunni stranieri possiedono già adeguate competenze linguistiche o ridotto se la padronanza della lingua italiana risulta ancora insufficiente per una partecipazione completa alle attività didattiche. Ma la precisazione ancora più rilevante nel testo della circolare è che il tetto del 30% può essere modificato anche in base a più generali «stati di necessità determinati dall’oggettiva assenza di soluzioni alternative».


«L’idea di Salvini? Propaganda, esiste già ma è flessibile»

Le dichiarazioni di Salvini hanno sollevato un acceso dibattito. Secondo il vicepremier, una presenza eccessiva di alunni stranieri in classe crea disordini e ostacola l’insegnamento. «Quando gli italiani sono il 20% dei bambini in classe, come fa una maestra a spiegare?», ha detto nei giorni scorsi a Porta a Porta. Sulla stessa lunghezza d’onda il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, secondo cui «in aula la maggioranza degli alunni deve essere italiana». Una visione di «pura propaganda», dichiarano i sindacati del settore. «Sono uscite di natura politica, che mirano a incentivare l’idea del diverso e dell’invasione che, invece, nessuna scuola vive o teme. Le scuole sono molto più accoglienti di come vengono raccontate», incalza a Open Graziamaria Pistorino della Flc Cgil. «Il tetto al numero di stranieri esiste già (del 30%, ndr) nella circolare dell’ex ministra Gelmini e ogni anno viene richiamata nelle indicazioni fornite dagli uffici scolastici regionali alle scuola. Ciononostante, a far da padrone è la flessibilità e le specificità dei territori».


Come funziona la formazione delle classi

All’inizio dell’anno scolastico, la formazione delle classi segue criteri specifici basati sul numero di iscritti e sui limiti massimi e minimi previsti per ciascuna classe. Nella scuola dell’infanzia, ad esempio, si divide il numero totale di iscritti per il massimo previsto di 26 bambini per sezione. Eventuali eccedenze vengono poi distribuite fino a un massimo di 29 alunni per classe. Nella scuola primaria, il numero varia da un minimo di 15 a un massimo di 26 bambini per classe, salvo eccezioni come in zone di montagna o piccole isole, dove il minimo scende a 10. Alle medie, le classi hanno di norma da 18 a 27 alunni, mentre alle superiori il numero delle è di regola di 27 alunni, con eventuali eccedenze distribuite fino a un massimo di 30 studenti per classe. Fatto questo, va presa in considerazione l’indicazione di non superare il 30% di bambini e ragazzi stranieri per classe. In caso di eccedenza, laddove possibile, si dirottano gli studenti in altri istituti vicini. Solo, però, se le condizioni del territorio, il numero delle scuole e la concentrazione di popolazione straniera del posto lo consentono davvero. In caso contrario, il limite può essere rivisto.

Perché il limite del 30% non va bene per tutte le scuole

«Nel nostro Paese ci sono istituti dove la concentrazione di stranieri nella popolazione è così elevata che il tetto del 30% non è praticabile, e questo la circolare lo contempla. Penso, ad esempio, all’istituto Madre Teresa di Calcutta di Palermo dove oltre la metà degli alunni è di origine straniera oppure alle scuole di Prato dove vi è un’altissima percentuale di bambini e ragazzi cinesi», racconta la sindacalista. «Ma quel 30% di confine non deve essere visto e raccontato come un limite, bensì come un semplice orientamento da adattare a seconda dei contesti territoriali specifici. Inoltre, – puntualizza Pistorino – quel numero è pensato non solo per gli studenti italiani, come rischia di sembrare dal discorso del ministro Salvini, ma proprio per gli stessi alunni stranieri. Se una classe è composta esclusivamente da studenti stranieri, l’integrazione è nulla», ci tiene ad aggiungere Pistorino della Cgil. «Quindi, non si tratta di una barriera. Purtroppo, però, quando il ministro fa riferimento a queste soglie, si dimentica l’impianto culturale della scuola basato sull’inclusione e l’accoglienza».

«Ridurre dal 30 al 20%? Così si penalizzano i contesti migratori»

La Flc Cgil si è ampiamente espressa sulla questione, con la segretaria generale Gianna Fracassi che evidenzia – come si legge in una nota – quanto l’idea di ridurre dal 30 al 20% la soglia consentita sia del tutto «fuori dal tempo». A suo avviso, si tratta di «un provvedimento che penalizzerebbe la provenienza da contesti migratori non tenendo minimamente in considerazione la composizione dell’attuale società e la funzione unificante della scuola. E che risulterebbe per di più inapplicabile, se non sradicando dal loro contesto di vita e di relazioni decine di migliaia di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, che verrebbero dirottate in istituti scolastici lontani dalle loro abitazioni e dai loro compagni». Una modalità che va in «direzione opposta a quello che dovrebbe essere ogni processo di inclusione. Il ministro – conclude – farebbe bene a occuparsi di ponti invece che di tetti».

Nella foto: un’immagine della scuola di Pioltello

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