L’ex generale israeliano Giora Eiland: «L’unico modo per vincere la guerra è tagliare cibo e acqua a Gaza» – L’intervista

Già capo del Consiglio di sicurezza nazionale, critica le scelte di Israele e Netanyahu, ma anche la risoluzione Onu: «Un favore ad Hamas»

Ora che l’asse Biden-Netanyahu non è più solido – dopo l’astensione degli Stati Uniti sulla risoluzione Onu per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas – il conflitto rischia esiti imprevedibili. E chi, in Israele, lo sa meglio di Giora Eiland? Settantadue anni e una carriera terminata con i gradi di generale dell’esercito israeliano, Eiland è un talento militare di cui Israele si accorge presto coinvolgendolo, ancora ufficiale dell’Idf, nei colloqui di pace dell’allora ministro degli esteri Peres con Arafat. Nel 2004 Sharon lo nomina capo del “Consiglio di sicurezza nazionale”. Eiland non gli risparmia critiche, soprattutto sul disimpegno a Gaza, solo per dire della completa autonomia di pensiero dell’uomo e del militare. La sua analisi è lontana dal soffietto cortigianesco filoebraico. E’ pura strategia. Un po’ Machiavelli: la ragion di Stato prima di tutto. Un po’ von Clausewitz: il vantaggio quasi unico dell’offensiva sta nella sorpresa.


«All’inizio del conflitto Israele ha commesso un errore strategico» – afferma Eiland – «perché ha pensato che l’eliminazione di Hamas si sarebbe potuta raggiungere solo con lo spiegamento militare sul campo. E invece non è andata così. Occorreva, accanto all’intervento militare, impedire i rifornimenti di cibo, acqua, energia elettrica nell’intera Striscia. Israele non l’ha fatto come avrebbe dovuto e quelle di oggi sono le conseguenze. Sgombriamo il campo dagli equivoci: sulla Striscia di Gaza governa Hamas e se c’è mancanza di cibo, medicine e acqua a Gaza allora i leader mondiali dovrebbero dire al governo di Hamas: ‘il tuo popolo sta morendo ogni giorno e la responsabilità è tua. Fai qualcosa’. Questo non è avvenuto anche perché noi abbiamo continuato a far arrivare i rifornimenti».


Eccola la sorpresa che avrebbe fiaccato il nemico, secondo Eiland. «Ma c’è sempre tempo» – prosegue – «almeno fino a quando gli ostaggi non saranno liberati. Finché arriveranno infatti forniture di cibo, acqua ed elettricità a Gaza, Hamas non avrà alcun buon motivo per finire la guerra e accordarsi sugli ostaggi. E’ un errore pensare solo alle esigenze umanitarie dei civili a Gaza e ignorare quelle legittime di Israele, che rivuole indietro vivi gli ostaggi».

Come valuta la risoluzione Onu sul cessate il fuoco, il rispetto dei diritti umani e la riconsegna degli ostaggi?
«E’ un documento irricevibile. Gli Stati Uniti, astenendosi, hanno dato l’ok a un testo sbilanciato in favore di Hamas. La risoluzione parla di obiettivi civili da tutelare, ma a Gaza ospedali, scuole, moschee sono edifici civili solo da fuori. Dentro sono avamposti militari zeppi di armi. Tra l’altro non si riesce a distinguere tra popolazione civile e militari, perché molti combattenti di Hamas oggi non indossano l’uniforme e nascondono kalashnikov e Rpg sotto le coperte o sotto il cappotto quando camminano per strada, come fossero dei civili. Quindi se li ammazzi non si può dire che erano civili, piuttosto combattenti di Hamas».

Intanto però il numero dei morti ha superato quota trentaduemila e anche Biden continua a sottolinearlo.
«Sono i numeri che diffonde il ministero della Salute di Hamas. Ammettiamo siano veri: Israele ha ucciso finora tredicimila terroristi di Hamas. Dunque quasi la metà delle vittime non è tra la popolazione civile. Una proporzione molto più alta di quanto abbiano fatto gli americani in Iraq e Afghanistan».

Netanyahu ha compiuto errori politici nella gestione della guerra e del rapporto con Biden?
«Netanyahu non è stato né intelligente né scaltro. Ha creato tensioni non necessarie con Biden per qualche punto di consenso interno in più. Davvero una mossa poco avveduta e che non è di certo servita alla causa israeliana. Ma del resto di errori ne ha commessi parecchi, a partire dall’assoluta impreparazione dell’esercito quella mattina del 7 ottobre. Tuttavia il suo sbaglio più grande lo ha compiuto dopo la strage, quando le delegazioni dei Paesi in visita in Israele ci chiedevano che cosa pensavamo di fare a Gaza, finita la guerra. Avremmo dovuto rispondere una cosa semplice: quando Hamas non avrà più il controllo su Gaza non ci sarà più occupazione militare israeliana e i palestinesi governeranno il loro popolo. Invece Netanyahu ha sempre detto che di quello che sarebbe accaduto a Gaza se ne sarebbe parlato alla fine della guerra. E’ stato un errore non intestarsi un’iniziativa politica».

Nemmeno Biden si è trattenuto dal manifestare insofferenza nei confronti di Netanyahu. Pensa sia calcolo politico, visto che è in campagna elettorale?
«Gli americani vogliono la fine della guerra. Biden lo sa. Anche Egitto, Arabia Saudita e molti Paesi europei la vogliono. Nessuno si preoccupa però di un’iniziativa reale per liberare gli ostaggi, senza la quale la fine del conflitto non ci sarà. L’errore è pensare che la nostra sia una vendetta, mentre è una guerra per garantire la sicurezza futura di Israele».

La sensazione è che serva, oltre a più diplomazia dell’establishment israeliano, anche una forte spinta “bottom up”, dal popolo verso chi lo governa. Ma anche il popolo è stanco, specie le famiglie degli ostaggi. Netanyahu sente la sua fine politica vicina, mentre il “finish the job” con Hamas rischia di diventare il suo peggior incubo, in debito di consenso com’è e con l’alleato americano ora di traverso.

Foto di copertina: Kai Mörk – www.securityconference.de – Wikipedia

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