Jannick Sinner non lava i piatti: «Ho gli stessi difetti di tutti i ragazzi»

Il tennista: «Sono sempre stato così, la differenza è che ora ho più telecamere puntate addosso»

Jannick Sinner non lava i piatti. Li lascia sporchi nel lavandino. E per questo, dice, non è che sia così perfetto come dicono i giornali. Anzi. «Eh, forse un po’ state esagerando. Perché sono tutte cose che faccio in maniera spontanea, senza pensarci: se uno spettatore sta male in tribuna è ovvio soccorrerlo. Poi in campo sono serio, ho i miei rituali, ma quando finisce la giornata o piove e devi interrompere il match io scherzo, rido. Sono sempre stato così, la differenza è che ora ho più telecamere puntate addosso», dice in un colloquio con La Stampa.


Il difetto

«Ho gli stessi difetti di tutti i ragazzi, quando finisco di mangiare non lavo i patti, li lascio lì due giorni…E a volte mi arrabbio anch’io. Ma va capito il momento, ce n’è uno per scherzare e uno per arrabbiarsi. Come tennista a volte ho troppa fretta di imparare, di aggiungere cose, mentre la fretta è il nemico più grande perché ti fa perdere lucidità. E invece di aiutarti, ti frega», dice Sinner. Dice che le cose sono cambiate da quando ha imparato a vincere i match che contano: «All’inizio era impossibile. Se ci riesco ora vuol dire che ho imparato da ciò che ho vissuto. Non è detto che vinca tutte le partite nemmeno ora, ma è vero che la differenza sta proprio lì. Per mesi ho fatto sempre quarti, ottavi, qualche volta semifinale, tutti risultati ottimi, soprattutto nei grandi tornei. Mancava l’ultimo passo, ora è arrivato ed è cambiato tutto».


Il salto di qualità

Sinner dice che il salto di qualità «è stato sia fisico sia tattico. Ora riesco a giocare senza pensare tanto. Prima invece sì, e non ero fluido. Adesso sono in grado di applicare la tattica giusta a seconda degli avversari. Ma per riuscirci devi essere consapevole di poter eseguire certi colpi, che prima non sapevo fare. E in questo c’entra molto Simone (Vagnozzi, il suo coach, ndr)». Mentre dice che la terra rossa «non è la mia superficie migliore. In passato mi è capitato di faticarci un po’, e la scorsa stagione non è stata fra le migliori. Ma i miei primi quarti in uno Slam li ho raggiunti al Roland Garros, e li ho fatti anche a Roma. Sarà una stagione lunga e complicata, ma credo di poter giocare bene anche sul rosso».

Portabandiera alle Olimpiadi

Anche sulla possibilità di essere il portabandiera delle Olimpiadi si schermisce: «Secondo me è giusto che lo faccia chi ha già vinto una medaglia d’oro. Per me sarà la prima volta. Sento di aver contribuito insieme ad altri a far crescere il nostro tennis, ma ci sono atleti che hanno costruito la carriera sulle Olimpiadi, e lavorano quattro anni per una gara. Ho letto una intervista a Usain Bolt in cui diceva: “io lavoro quattro anni per correre in meno di 10 secondi, e c’è chi vorrebbe risultati dopo due mesi’. Per loro è un appuntamento fondamentale. Per noi tennisti anche, ma fra Slam, Masters 1000 e Coppa Davis abbiamo più occasioni. Detto questo, se mi chiedono di farlo, mi farà molto piacere».

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