Europee, l’intervista a Elly Schlein: «Liste del Pd decise senza logiche di corrente». Meloni? «Sui diritti ci ha fatto retrocedere dietro all’Ungheria»
Mancano due giorni all’apertura dei seggi per il rinnovo del Parlamento europeo. Elly Schlein sta per superare l’obiettivo delle 120 tappe di una campagna che definisce «muscolare». Oggi, 6 giugno, ha fissato i suoi comizi a Firenze e Modena. Domani chiuderà la cavalcata elettorale a Padova: un omaggio a Enrico Berlinguer che, per le elezioni europee del 1984, tenne lì il suo ultimo comizio. «Sono orgogliosa delle liste che abbiamo costruito senza logiche di corrente», afferma la segretaria del Partito democratico a Open, mentre è in viaggio verso Nord. Schlein trasuda ottimismo non solo per le urne europee, ma anche per le elezioni comunali. Non teme di perdere a Bari e Firenze, le due città più popolose al voto: «Vinceremo dove governiamo e strapperemo alla destra tante altre città».
Da quando è diventata segretaria del Pd, questa è la prima tornata elettorale che coinvolge tutti i cittadini italiani. Ha fissato una soglia oltre la quale può considerare il risultato un successo?
«Non fisso soglie perché l’asticella porta iella. Siamo alla centodiciottesima tappa del nostro giro di ascolto nel Paese. La soglia che ci interessa di più, è quella della partecipazione al voto, per questo ad ogni comizio chiediamo a tutte e tutti di convincere le persone che votare faccia davvero la differenza. Un voto fondamentale per l’Europa che vogliamo e che dobbiamo cambiare, ma pure per lanciare un segnale chiaro a Giorgia Meloni e costruire l’alternativa alla destra. Su cose molto concrete, come la sanità pubblica e il salario minimo. La nostra proposta è prenderci cura dell’Italia e delle sue difficoltà».
A un anno e pochi mesi dal suo insediamento al Nazareno, può dire di essere riuscita a smantellare le correnti? Com’è cambiato il partito?
«Sono molto orgogliosa delle liste che abbiamo costruito senza logiche di corrente: sono plurali, offrono le migliori competenze del Partito democratico, molti bravi amministratori e personalità competenti della società civile e delle professioni. Tanto è già cambiato, soprattutto l’accoglienza delle persone che finalmente ci riconoscono per un’identità chiara: la battaglia per il salario minimo, quella per la sanità pubblica. Il Pd è tornato nelle piazze, nel Paese reale ad ascoltare il grido di sofferenza di milioni di persone. Tante persone sono tornate a sperare con noi, ma tantissime altre devono essere raggiunte e convinte del nostro progetto. Il partito in questa campagna europea è unito e compatto. E rafforzandoci in queste europee saremo in grado di continuare a cambiare il partito per cambiare il Paese».
Giugno è il mese delle europee, ma è anche il pride month. Cosa prova quando sente Roberto Vannacci difendere e ripetere quella frase, “i gay non sono normali”?
«La destra che oggi governa è la stessa che ha affossato tra gli applausi sguaiati una legge contro l’odio e l’omobilesbotransfobia, il ddl Zan, per cui noi continuiamo a batterci. Dove mancano leggi che riconoscono i diritti lgbtqia+ sono più frequenti discriminazioni e violenze. Noi vogliamo portare l’Italia in Europa, mentre dopo un anno e mezzo di governo Meloni è retrocessa alla 36esima posizione su 48 nella classifica Ilga Europe, sui diritti stiamo persino sotto l’Ungheria. Ci batteremo contro le discriminazioni e per il pieno riconoscimento del matrimonio egualitario e dei diritti dei figli delle coppie omogenitoriali».
Perché un elettore dovrebbe votare il Pd se, sul tema più cocente in Europa – le guerre in corso ai nostri confini -, la linea del partito è innestata da candidature come quelle di Tarquinio e Strada, che si oppongo all’invio di armi agli alleati?
«La linea del Pd in politica estera la fa la segreteria, non i nostri autorevoli candidati indipendenti, come dicono anche loro. Noi siamo un partito plurale e che discute. Ma siamo tutti uniti verso un unico obiettivo: la pace. Vuol dire che l’Unione Europea deve avere una politica estera comune per mettere in campo uno sforzo diplomatico e politico che contribuisca a far cessare i conflitti, sia in Ucraina dove sosteniamo un popolo ingiustamente invaso, sia in Medio Oriente, dove da ottobre chiediamo un cessate il fuoco per fermare il massacro di civili in corso a Gaza, per liberare gli ostaggi detenuti da Hamas e per intraprendere un percorso di pace verso i due popoli e due stati. Uno esiste già e ha diritto a esistere senza missili e attacchi terroristici, ma è tempo di riconoscere lo Stato di Palestina perché anche i palestinesi hanno pieno diritto a vivere in pace e in sicurezza».
Oltre alle europee, l’8 e il 9 giugno si voterà per i sindaci di Comuni importanti, ad esempio Firenze e Bari. Due città che il centrodestra crede di poter strappare al centrosinistra. Lei lo vede questo rischio e come giudica gli amministratori uscenti?
«Le elezioni locali non sono un test nazionale. Ho troppo rispetto per i cittadini che sceglieranno le loro sindache e i loro sindaci sulla proposta amministrativa e non in base a altre valutazioni. Detto ciò, sono convinta che vinceremo dove governiamo e strapperemo alla destra tante altre città, perché abbiamo lavorato tanto per costruire coalizioni con un programma condiviso e candidati credibili».
I partiti del centrodestra, per quanto litigiosi, agli appuntamenti elettorali partono in vantaggio perché si presentano uniti. È rimasta delusa dalle invettive che Giuseppe Conte ha lanciato, recentemente, contro il suo partito? Lo ritiene ancora un alleato affidabile per il futuro?
«Noi siamo e continueremo ad essere testardamente unitari. La destra si batte solo costruendo insieme un’alternativa sui bisogni concreti delle persone con le forze di opposizione. E proprio così ci siamo presentati nei due terzi dei capoluoghi al voto e in moltissimi altri comuni».
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