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Luca Carboni: «Sono sparito per due anni per colpa di un tumore al polmone»

08 Settembre 2024 - 08:17 Redazione
Il racconto del cantautore al Corriere della Sera: «Sono in credito con la vita. Devo il mio successo anche alla generosità di Dalla»

«Viviamo in un mondo in cui tutto è comunicato, sempre. Io invece ho seguito il mio istinto, il mio carattere. Mi sono messo da parte, ho staccato ogni contatto con i social, mi sono concentrato su quello che mi stava succedendo. A marzo del 2022 mi è stato diagnosticato un tumore al polmone. Un po’ di tosse che non passava, la decisione di fare una lastra. Uno choc. Sono rimasto senza parole, quella malattia sta nella nostra vita, ma pensi che a te non toccherà mai. Improvvisamente tutto è cambiato». Con queste parole il cantautore Luca Carboni racconta al Corriere della Sera la sua lotta e il cambio repentino della sua vita. «Stavo registrando un album nuovo – spiega – avevo già definito dieci pezzi tra cui il singolo “Il pallone” e un altro che sarebbe dovuto uscire quell’estate, una canzone, a cui tengo moltissimo, che avevo scritto nel 1986 per proporla a Vasco e che poi avevo deciso di incidere personalmente: ”Rimini d’estate”. Avevo previsto l’album e poi il tour. Invece, in pochi minuti, tutto è cambiato. Dalla scelta dei brani sono passato alla scelta delle terapie per sopravvivere. Il tumore era grande, difficile da operare».

La chemioterapia, l’operazione. «Non puoi sentirti guarito se non è guarito l’altro, la persona che avevi a fianco mentre facevi le flebo»

Carboni si è affidato allo staff di oncologia del Sant’ Orsola, guidato dal Primario Prof. Andrea Ardizzoni, con la collaborazione dello pneumologo Piero Candoli e del chirurgo Piergiorgio Solli. E ha iniziato fin da subito una massiccia cura di chemioterapia. Il tumore si è ridotto molto e ad agosto è stata fatto l’operazione per asportarlo. «Per fortuna non c’erano metastasi e dopo l’intervento abbiamo continuato con l’immunoterapia. Dopo due anni posso dire di essere tecnicamente guarito anche se, con questo tipo di malattia, questa parola ha un significato fragile. Questa esperienza mi ha messo in contatto con tante persone. Ho frequentato oncologia, ho vissuto le storie di tanti malati. Il tumore non è un’esperienza individuale, ma collettiva. Non puoi sentirti guarito se non è guarito l’altro, la persona che avevi a fianco mentre facevi le flebo. In questi anni ho pregato per me, ma anche per chi condivideva il mio stesso percorso. Come un mio amico dell’isola d’Elba, che ha scoperto il mio stesso male ma non ce l’ha fatta», racconta l’artista al Corriere.

La pittura e la natura come salvezza

«Credo, e non ho ragione per nasconderlo. Dalla notizia, dalla lastra e, soprattutto, dallo sguardo del radiologo, mi ero convinto di avere poco tempo. Ho pensato alla morte, per la prima volta, come a una possibilità concreta. Ma devo alla scienza medica il ritorno, assai presto, di una ragionevole speranza. Non ci credevo, immaginavo fosse una necessaria consolazione, eppure mi sono aggrappato a quel barlume di luce. Ho pensato due cose: che dovevo fidarmi dei medici e affidarmi al destino, combattendo a modo mio. Comunque, anche quando vedevo la fine come eventualità possibile, mi sentivo felice. Ho fatto una vita bella, piena di luce, di gioie, di amori. Il mio percorso è stato faticoso e carico di soddisfazioni», spiega Carboni. Un ospite inatteso e pericoloso, racconta il cantautore. «Ho combattuto. Ho smesso di fumare, ho camminato tanto. Andavo sull’Appennino e cercavo paesaggi che rendessero ancora più forte il mio rapporto con la vita. La natura mi ha aiutato. (…) Poi mi ha aiutato molto la pittura, che è sempre stata la mia altra passione», precisa. Luca Carboni tornerà “nel mondo” a novembre, a Bologna con una mostra, curata da Luca Beatrice e prodotta da Elastica, con i quadri, i disegni, lo story board del primo video fece e i block notes sui quali ho gli appunti di ogni mio album. A quarant’anni dal suo primo disco.

L’incontro con Dalla

«In fondo io sono figlio di una generosità e di una curiosità, quella di Lucio Dalla. Avevo venti anni e mi ero convinto che, per arrivare agli altri, più che mandare audiocassette che nessuno avrebbe ascoltato, fosse più efficace l’impatto della pagina scritta. Così misi i miei testi in una busta per Ron e la consegnai a Vito, il titolare dell’osteria di Bologna dove allora andavano tutti i cantanti che mi piacevano», racconta. «Quella sera – riporta Carboni – a un tavolo c’erano Lucio e gli Stadio che discutevano dei testi del primo album del gruppo. Io mi fermai a guardarli, dalla vetrina del ristorante. Vidi Lucio che prese la busta, la aprì, cominciò a leggere e poi distribuì i fogli agli altri. Sentii che disse “Cazzo, belli”. Io avevo messo il mio numero di telefono di casa sulla busta e vidi Lucio che si alzò e prese l’apparecchio del ristorante. Non sapevo cosa fare, ma mi feci coraggio e rientrai proprio mentre mia sorella gli stava dicendo che io dovevo essere lì. Gli battei sulla spalla e lui, divertito, mi squadrò sibilando “Pensavo fossi un adulto…”. Mi fecero sedere al loro tavolo, a me sembrava di sognare. Poi andai in studio e, su indicazione di Lucio, feci sentire agli Stadio come avrei cantato dei brani che avevo scritto per loro. Dalla disse al tecnico di registrarli e poi me li fece ascoltare dalle casse dello studio. Io la mia voce, al massimo, l’avevo sentita nel walkman… ”Sembri un po’ De Gregori” mi disse e per me, che ho sempre amato Francesco, era un complimento immenso. Mi vergognavo però a cantare, non ho mai avuto la sfrontatezza del frontman, non era il mio approccio alla vita. Non amo i vincenti, perché non mi piace la confidenza con il successo, la convinzione di essere superiori ad altri. Ho venduto, nel tempo, cinque milioni di dischi ma ho sempre pensato che, in fondo, fosse un incidente di percorso».

(in copertina Luca Carboni ospite della trasmissione “Che tempo che fa” condotta Fabio Fazio, Milano, 08 ottobre 2012. ANSA/MATTEO BAZZI)

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