Il tax credit e l’agonia del cinema italiano: «Il governo pensa che siamo comunisti da isolare e Giuli ci fa la guerra»


«C’era una legge che funzionava benissimo. La firmò Franceschini, ma l’ex ministro Sangiuliano l’ha voluta disintegrare. La premier e l’esecutivo non ci hanno mai voluto incontrare perché ci vivono come antagonisti, come comunisti che vanno isolati. E Alessandro Giuli ci fa la guerra». È un j’accuse durissimo quello del regista Gabriele Muccino nei confronti del ministro della cultura e del governo. Con lui ci sono da Gabriele Salvatores a Giuseppe Tornatore, da Nanni Moretti a Paolo Sorrentino, Marco Bellocchio, Matteo Garrone, Paolo Virzì, Ferzan Ozpetek. E poi ancora: Luca Zingaretti, Pierfrancesco Favino, Paola Cortellesi, Alba Rohrwacher, Anna Foglietta, Riccardo Scamarcio.
Cosa succede
Gli attori e i registi vogliono che il governo le incontri e ascolti «le richieste urgenti avanzate da mesi». E che si fermino «gli attacchi inaccettabili a chi democraticamente ha mosso critiche all’operato del ministero, come il collega Elio Germano e la collega Geppi Cucciari, ai quali va la nostra solidarietà». Nel mirino della lettera aperta firmata da 94 professionisti c’è la riforma del tax credit. I cui ritardi «hanno causato una crisi di sistema che ha colpito molte produzioni, soprattutto le più piccole e indipendenti, e ha lasciato senza lavoro centinaia di lavoratori, a cui manca anche un sostegno al reddito per il 2025 e un sussidio di recupero salariale e contributivo per il ‘24». L’annunciato decreto correttivo è «una prima risposta, ma incompleta e insufficiente».
La replica di Giuli
Giuli replica da Bruxelles chiamando in causa l’Europa: «È una fase critica, bisogna restare uniti, rafforzare il modello europeo di finanziamento». Ma il presidente FdI della Commissione Cultura Federico Mollicone attacca gli attori: «La nostra reazione è stata dettata dal grave paragone di Germano tra il ministro e i clan. Mentre la comica Cucciari ha deriso un esponente del governo al Quirinale in diretta tv». Intanto in un colloquio con Francesco Bei di Repubblica Gabriele Muccino accusa il governo di maccartismo. E rivela di aver provato a parlare con il ministro e Giorgia Meloni: «Mi hanno risposto con una gentile lettera in cui mi si diceva che in un futuro prossimo ci saremmo incontrati. Non è successo. Posso anche capire che il presidente del Consiglio abbia cose più importanti da fare, ma il ministro Giuli dovrebbe fare questo, incontrare le categorie di cui si occupa».
Il maccartismo
Secondo Muccino, Giuli non lo incontra perché «come ha giustamente denunciato Elio Germano, ci vive come antagonisti, come comunisti che vanno isolati e sabotati. È quello che fece Sangiuliano. Un vero e proprio sabotaggio di una legge, quella sul tax credit, che portava moltissimo lavoro. Lavoro italiano, in Italia, una cosa che dovrebbero stare a cuore a un governo come questo».
E sulle accuse di finanziare film che poi non vede nessuno, Muccino risponde che si tratta di «una delle tante “non verità” che vengono dette. Alcuni film vanno male al botteghino? In parte è anche vero, ma si trascura una realtà enorme che è quella delle piattaforme. Parlo per me: io ho fatto quasi sempre film di successo, il mio ultimo film invece, avendo cambiato genere, è andato piuttosto male in sala. Ma poi c’è stata la vendita alle piattaforme, la vendita negli Usa, in Sudamerica, in Spagna e vari paesi europei. Ci sono sfruttamenti commerciali di un film che vanno molto aldilà della sala, così come ci sono film che in sala nemmeno escono e vanno direttamente in piattaforma».
Fermi da due anni
Muccino a Giuli vorrebbe dire «che il mondo del cinema è fermo da due anni per colpa di Sangiuliano, che ha bloccato il tax credit e ha fatto fuggire tutti i produttori esteri. Oggi si sono spostati in Spagna dove il tax credit è del 45% oppure in Francia. Io vado ora a girare un film in Marocco dove non c’è tax credit ma addirittura un “tax rebate”, ovvero danno indietro il 35% dei soldi che uno investe. Volevo incontrare Giuli per creare un tavolo, una comunanza, per spiegargli che se il governo è di destra o di sinistra non importa a chi lavora».