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Fabio Rovazzi è tornato: «Senza Fedez il successo mi avrebbe travolto. Morandi? Un maestro, è il Justin Bieber italiano» – L’intervista

15 Maggio 2025 - 11:22 Gabriele Fazio
Lo youtuber, cantante, conduttore, regista e attore si racconta a 360 gradi in occasione dell'uscita del nuovo singolo «Red Flag»: dalla passione per il modding alla sua sindrome da Peter Pan

Fabio Rovazzi, vero nome Fabio Piccolrovazzi, milanese classe 1994, è un personaggio abbastanza atipico nel panorama italiano. Non solo uno dei più moderni, ma cronologicamente il primo tra i più moderni, il primo a fare un vero grande salto dall’intrattenimento online a quello sui mass media. E non si è fatto mancare nulla tra cinema e tv. Anche se il vero boom lo fa con la musica, nel 2016, il brano si intitola Andiamo a comandare e da quel momento in poi tutti in Italia, anche nei più insospettabili ambienti istituzionali, non hanno fatto altro che fare cose al grido di «Andiamo a comandare!». A quel punto ci prende gusto con i tormentoni, regolarmente accompagnati da videoclip divertenti e carichi di estro, diventando una sorta di appuntamento fisso dell’Italia estiva, che se la balla su brani come Tutto molto interessante, Volare, Faccio quello che voglio, Senza pensieri, La mia felicità, La discoteca italiana e Maranza. Venerdì è uscito con Red Flag, brano realizzato in featuring con Paola Iezzi e Dani Faiv, l’ultimo suo tormentone pronto a prendersi l’estate 2025 parlando di relazioni con persone che già dopo i primi incontri danno segnali di stranezze e che dovrebbero dissuaderci dal frequentarli. Noi di Open lo abbiamo intercettato a casa sua mentre è sommerso da progetti di computer, così è costretto a confessarci il suo guilty pleasure: il modding, ovvero la pratica di modificare o personalizzare i videogiochi.

Come nasce la passione per il modding?

«Diciamo che durante l’infanzia mi erano proibite in maniera abbastanza severa consolle come Game Boy o Playstation. Mia madre ha sempre visto i videogiochi come il male. In realtà ci aveva preso, perché oggi sono super addicted ai videogiochi, quindi per fortuna non li ho scoperti prima, altrimenti era finita»

Da lì il modding?

«Nel delirio di quel proibizionismo ho capito che i computer potevano essere degli oggetti incredibili per il gaming. Ho anche lavorato in un negozio che faceva assistenza pc e quindi ho iniziato a montare computer per clienti, a ripararli e costruire server. Questo è la genesi del dramma. Poi questo dramma è diventato preoccupante a livelli estremi»

Ma che motivazione ti dava quando ti negava il Game Boy?

«Mia mamma ha sempre odiato i giochi. La motivazione in realtà penso sia abbastanza banale, cioè era una roba tipo “fanno male”, ma io volevo solo giocare a Pokemon, non c’era violenza, cioè non è che volevo giocare a GTA o, ai tempi andava molto forte, Doom, in cui si spappolavano mostri. Forse aveva paura di Pikachu, non lo so»

Cosa volevi fare da grande?

«Da quello che ricordo, non ho mai avuto un pallino per qualcosa. Non ho mai avuto l’ambizione di fare l’astronauta, il calciatore. Non ho mai avuto una forma e tuttora sono in quel mondo lì. Cioè non ho un’ambizione specifica. Mi piace fare un sacco di cose, però le faccio in quanto occasione anche per formarmi, per divertirmi»

Tutto sommato quello che sei oggi è un po’ il riflesso di questa cosa, hai mantenuto l’approccio di quando eri bambino…Soffri la sindrome di Peter Pan?

«Non so se è proprio sindrome di Peter Pan, ma su certe cose rimango molto piccolo e mi piace essere piccolo»

Il fatto che l’intrattenimento sia diventato un lavoro, te lo rende meno divertente?

«In realtà la cosa che più mi appassiona del mio lavoro sono i drammi e il problem solving. Mi piace un sacco essere nel caos totale, nell’incubo assoluto, e cercare delle soluzioni. Questa è una costante che mi stimola molto. Quindi tendenzialmente nella creazione delle cose tendo a non divertirmi, tendo a farlo dopo»

Quindi se qualcuno ti chiedesse che lavoro fai?

«Non saprei rispondere, sono un libero professionista, ma ovviamente è la cosa meno libera di questo mondo. Mi piace fare un sacco di cose ma non ho una specifica mansione. Non ti nascondo che ho sempre desiderato avere una mansione precisa. Se domani mi proponessero di fare, per esempio, il conduttore televisivo tutti i giorni, mi piacerebbe molto»

Quando è scoppiato il fenomeno Rovazzi tu ti sei autodefinito un non musicista…

«Certo sì, e tuttora non lo sono. Per questo mi sento sempre un po’ con la sindrome dell’impostore qualsiasi cosa io faccia. Io quando vedo altri artisti mi rendo conto di cos’è il talento nella musica ed io non mi ritengo parte di quella categoria. Io sono una persona che ogni tanto decide di prendere la tavola e surfare nel mondo della musica divertendosi»

Hai mai sentito l’esigenza di sviluppare, anche in musica, qualcosa di più serio e intimo?

«Sì. Per esempio: Red Flag è un brano leggerissimo, ma si poteva rendere più pesante, parlando magari di tossicità. Eppure mi sono voluto mantenere lontano, volevo divertirmi. Mi è capitato di scrivere dei pezzi molto personali, molto dark, ma non mi sono mai sentito pronto a condividerli»

Ti senti intrappolato in un determinato personaggio?

«Alla fine la figata secondo me è riuscire a creare, a mettere in piedi un personaggio che comunque è un prolungamento di quello che sei. Io tendo ad essere molto divertente nella mia vita privata, quindi poi tendenzialmente il mio approccio è quello. Non è una scelta strategica. Faccio molta fatica a condividere le mie emozioni o i miei traumi»

Come mai l’esigenza di raccontare delle Red Flag?

«Durante l’anno mi appunto idee che mi sembrano simpatiche, interessanti o sviluppabili. Tra le note c’era Red Flag, dentro ci sono un sacco di cose reali, accadute nella vita di tutti i giorni, a me o amici. Io ho anche questa skill: un mio amico conosce una ragazza, io capisco subito se è ok o no. Sono l’oracolo, ho predicato delle cose incredibili. Ti giuro, una volta è successo perfino in video call, dopo un minuto mi sono girato e ho detto “no”. Dopo tre anni di relazione l’amico mi fa “Bro, avevi ragione”»

E gli affari tuoi invece?

«Certo, nella canzone ci sono anche delle cose relative alla relazione che ho in questo momento con la mia ragazza, Lucia, ma sono cose simpatiche: dalla maschera al mango al dormire sul parquet perché mi rubano le coperte. Tutto vero. Cioè, il videoclip l’abbiamo girato accendendo la telecamera in casa (e ride)»

Ma tu sei più quello che si innamora del caso umano o il caso umano di cui è meglio non innamorarsi?

«Nella nostra vita abbiamo visto di tutto e di più. A oggi ho una splendida relazione. Se parliamo del pregresso, mi è capitato di innamorarmi del caso umano e alle volte il caso umano sono io. In questa relazione attuale io sono il caso umano, totalmente»

Tipo?

«Gioco ai videogiochi, sono nerd, guardare il sole non è che proprio mi piaccia tantissimo…Si, la luce, la realtà, però non mi interessa tanto. La mia ragazza è sportiva, nutrizionista…Io sono il male assoluto. Quindi in questo caso sono io la Red Flag in casa»

Nella tua carriera hai messo in piedi collaborazione eccellenti, mi sono fatto una piccola lista: Gianni Morandi, Loredana Bertè, J-Ax, Eros Ramazzotti, Orietta Berti, Il Pagante, ora Paola Iezzi e Dani Faiv…C’è qualcosa che hai imparato da loro nello specifico?

«In primis ovviamente Morandi. Morandi è arrivato in un momento della mia vita in cui venivo da un boom clamoroso, da due pezzi come Andiamo a comandare e Tutto molto interessante. Ancora non avevo capito niente della vita, di cosa stavo facendo. In quel periodo mi ha dato anche una grande mano avere al mio fianco Fedez e J-AX, perché sennò sarei impazzito con tutto quel successo, il rischio c’era, era reale. Gianni è stato un maestro di vita pazzesco, abbiamo coltivato un’amicizia che tutt’oggi dura, per esempio il 18 gennaio, il giorno del mio compleanno, la prima persona che mi chiama è lui. Non sto scherzando. Abbiamo un bellissimo rapporto e stare con lui è un bellissimo scambio, anche se in realtà io non so cosa gli ho dato, credo che abbia dato solo lui a me. Gianni è un caso straordinario perché vive il successo da quando ha forse 16/17 anni, è tipo il Justin Bieber italiano»

Hai citato Fedez, ma secondo te c’è una cosa che il pubblico non ha ancora capito di Fedez?

«Non saprei risponderti a questa domanda, perché comunque è una persona molto esposta. Hanno avuto modo di conoscere tutte le sue sfaccettature, quelle positive e quelle negative, e quindi secondo me ci sono quelli che l’hanno capito. Forse la questione è che ci sono persone che lo apprezzano e persone che non lo apprezzano, però chi è ormai lo sappiamo, no? In tutte le sue forme. Nelle sue esposizioni è abbastanza autentico. Ha condiviso anche grandi momenti di fragilità e credo che alle persone sia arrivato anche questo. Cioè, non possiamo dire che è solo litigioso o solo un’altra cosa»

Invece c’è qualcosa di te che il pubblico ancora non ha capito?

«Il mio grande cruccio è, da sempre, di essere po’ accusato di industry plant, di raccomandazioni, di essere figlio di qualcuno…Ora, a meno che mia madre biologa non abbia dei contatti particolari, non è mai accaduto nulla di tutto questo. Quello che le persone non sanno è che c’è un lavoro pazzesco dietro le cose che faccio. Sono un malato di lavoro, nessuna cosa è lasciata al caso. Io ho avuto veramente tante fortune, quello è innegabile, fortune che ho saputo però allo stesso tempo sfruttare e quindi rimango sempre orgoglioso di quello che faccio, non ho mai sputato nel piatto in cui ho mangiato e mi dispiace che molti non sappiano cosa c’è dietro ecco. Però allo stesso tempo vivo lo stesso e bella lì»

Sei riuscito a creare una terminologia ormai di uso comune, penso anche ad «Andiamo a comandare», «Volare»…

«Sì, la cosa che mi dispiace è che “Volare” era una roba che io dicevo tra amici, tipo “Sta roba mi fa volare”, ma non era di uso comune. Per niente, non esisteva, era una cosa che dicevo io. E mi ricordo che mi è dispiaciuto quando poi è diventata di uso comune»

Eri geloso dell’espressione?

«Sì, perché poi non potevo più usarla nel privato, perché sembrava una roba strana, capito? Cioè “Sta roba mi fa volare”, se lo dico io è orribile, è finita, come se mi autocitassi. Però ovviamente è una grande soddisfazione il momento in cui metti nella lingua d’uso comune delle cose nuove»

Quando hai visto Salvini ballare Andiamo a comandare?

«In realtà quello di Andiamo a Comandare era un periodo in cui ero super giovane e non pratico a tutto, per me era veramente tutto nuovo. Mi spaventava un po’ il legame politico, però mi sono fatto una risata, comunque faceva ridere, era un balletto abbastanza ridicolo. Poi non c’era niente di studiato, il ballo di Andiamo a Comandare nasce totalmente per caso, sul set del videoclip c’era un buco sul drop, mi hanno detto “Cosa facciamo?”, ed è nato il balletto. Non c’è dietro il coreografo di Gaia»

Qual è la cosa che ti rende più orgoglioso tra tutte quelle che hai fatto?

«Ogni cosa nel suo piccolo è stata una bella soddisfazione, più che altro perché io quando vedo alcune cose che ho fatto non vedo solo il prodotto finito, ma vedo anche tutto lo sbattimento dietro, un grande combattimento, una grande fatica»

Per quanto riguarda le tue canzoni invece? Hai un tormentone del cuore?

«Sicuramente devo tutto ad Andiamo a comandare, quello è innegabile. È nato tutto da lì quindi discograficamente per me quello rimane ovviamente un primo posto senza pensarci due volte. Poi però se mi chiedi qual è il mio pezzo preferito ti dico Faccio quello che voglio, perché con quella canzone secondo me ho toccato il massimo possibile a livello video e la ritengo veramente bella»

Io credevo che il tuo destino fosse il cinema, in quel contesto ti vedevo proprio bene…

«Sono un grande appassionato di cinema, ma davvero a un livello malato, che in realtà poi è una lama a doppio taglio»

Cioè?

«Ti faccio un esempio banale: mi hanno proposto un sacco di volte delle cose molto grosse a livello di doppiaggio e le ho sempre rifiutate, perché mi rendo conto di quali sono i miei limiti e non vorrei mai rovinare una cosa che io amo. Non mi ritengo nemmeno un grande attore, mi piacerebbe invece tantissimo mettere in piedi una cosa da regista e sceneggiatore»

E cosa te lo impedisce?

«Il problema mio è che purtroppo sono un appassionato clamoroso di fantascienza e azione, che sono due generi che purtroppo hanno un presupposto fondamentale: o hai i soldi o non li fai. Oddio, ci sono anche dei casi dove non hai soldi e li fai, ma è un disagio assoluto»

Ti sento particolarmente entusiasta quando parli di cinema. Direi che, pistola alla testa, avendo tutta la disponibilità possibile, sceglieresti il cinema…

«Il problema è proprio lì: non ho la scelta, non c’è quella possibilità, non esiste e non esisterebbe comunque qua in Italia. La cosa drammatica di questa relazione complicata è che ho un sacco di amici che lavorano a Hollywood che mi raccontano cose pazzesche. Non dico che rosico, però si, ma in senso buono, se avessi quella possibilità io mollerei tutto domani, andrei subito, immediatamente»

Come ti vedi tra 10 anni?

«Non lo so, sono vittima di questa fantastica amica chiamata casualità da tanti anni. L’anno prossimo facciamo 10 anni da Andiamo a comandare e negli ultimi 10 anni mi è successo di tutto. Mi si sono presentate delle occasioni incredibili, ho conosciuto delle persone incredibili e non sono mai riuscito a fare una predizione di quello che sarebbe successo e tutt’oggi non riesco a farla».

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