Il nuovo show, la giungla, la Champions. Parla Caressa: «Psg? La migliore nel fare squadra. Con Luis Enrique ha superato i momenti difficili»


12 persone comuni devono sopravvivere nella giungla malese avendo a disposizione solo il minimo indispensabile. 12 giorni di trekking e stenti, una calura che potrebbe toccare i 40 gradi con il 98% di umidità. Montepremi di partenza: 300mila euro. Ma attenzione, la cifra sarà intaccata dalle tentazioni proposte da Fabio Caressa: comodità offerte a prezzi smodati, sia al gruppo che ai singoli. Qual è il confine tra egoismo e sopravvivenza, tra i propri interessi e quelli della squadra? Ma soprattutto: cosa faremmo noi al posto loro? Sono questi i fondamentali di Money Road – Ogni tentazione ha un prezzo, il nuovo show Sky Original prodotto da Blu Yazmine in onda tutti i giovedì per sei settimane su Sky e in streaming su NOW. Show che segna anche il debutto in qualità di conduttore di Caressa, 58 anni, uno dei più noti volti del giornalismo sportivo italiano, in particolare calcistico.
Cosa ti ha colpito di questo format?
«Il concetto di tentazione, il fatto che venissero messe in contrapposizione le necessità individuali con quelle del gruppo. E anche che la soluzione non fosse “Sei bravo se sei col gruppo, sei cattivo se sei uno che tende più all’individualismo”. Cioè, i partecipanti fanno delle scelte che poi non necessariamente ti devono far formulare un giudizio. Dipende da qual è la tentazione, qual è la loro storia, che momento stanno vivendo. Si tratta di una cosa completamente nuova che non si era mai vista».
La conduzione di questo programma credi ti abbia insegnato qualcosa sull’egoismo e l’altruismo?
«Ho imparato che nella vita non si può essere assolutisti, bisogna essere un po’ morbidi nell’affrontare le situazioni».
Un obbligo quando sei uno dei più importanti giornalisti sportivi italiani.
«Per questo al Club utilizziamo tanto i numeri, l’analisi scientifica di quello che accade: devi leggere come stanno le cose, capire, non devi cercare le tue idee in quello che succede, e quindi puoi anche cambiare idea».
Nel raccontare il calcio ti è capitato di cambiare radicalmente idea su qualcosa?
«Certo. Mi succede spesso di cambiare idea, anche perché hai a che fare con uomini e quindi anche loro cambiano, si evolvono, cercano di migliorarsi e di non commettere errori che hanno fatto in passato, quindi è normale anche che si cambi l’analisi di quello che succede. Noi siamo lì per cercare di raccontare, non di spiegare».

Tra l’altro quello del lavoro di squadra è un concetto molto calcistico.
«Non c’è dubbio. Non si vince mai da soli, perché lavorando in gruppo vengono assopiti i difetti dei singoli ed esaltati i pregi. La storia del calcio è la storia di gruppi, mai di singoli che hanno vinto. Perfino Sinner è diventato imbattibile quando ha trovato il suo team».
Una squadra che ti ha impressionato per il team?
«Ti direi il Paris Saint-Germain, che arriva alla finale di Champions League perché con Luis Enrique è riuscita a diventare più squadra e non somma di individualità, e questo l’ha aiutata a superare dei momenti difficili nel corso della stagione. Poi ci sono allenatori che sono specializzati in questo: mi vengono in mente Conte, Mourinho, Ancelotti, Fabio Capello. E questo te lo dicono proprio i giocatori, ti dicono “Vinciamo perché siamo un bel gruppo”, e non è una frase fatta. Nello sport è veramente la chiave del successo».
Potrebbe essere anche la chiave che porta l’Italia ai Mondiali? Ce la facciamo?
«Ce la facciamo se riusciamo a essere molto gruppo. Se quello che viene richiesto ai giocatori per arrivare all’obiettivo è condiviso, l’ha detto anche Luciano Spalletti, che in questo forse aveva commesso un errore agli ultimi europei».
Money Road non sarà la tua prima esperienza televisiva fuori dal circuito del giornalismo sportivo, ne prevedi altre in futuro?
«Perché no, mi diverte molto e lavoro anche per fortuna in un’azienda che mi permette di farlo».