Da Vecchioni a Manu Chao, i grandi al servizio della gioia di Alfa: «Il mio sogno ora è Jovanotti» – L’intervista


Alfa propone cinque nuovi brani per concludere l’album Non so chi ha creato il mondo ma so che era innamorato. Si tratta del disco della consacrazione per il cantautore 24enne genovese, uno dei più riusciti progetti musicali degli ultimi anni, capace di conquistare il pubblico con questo suo approccio alla musica così fluido, garbato, romantico. Narratore efficace come pochi della Gen Z, alla quale ha regalato un intenso duetto con il maestro Roberto Vecchioni al Festival di Sanremo, e oggi l’incontro artistico con il “clandestino” Manu Chao, autorizzato con un featuring d’eccezione, per declinare quel capolavoro di Me Gustas Tu nella riuscitissima A me mi piace, uno dei brani che compongono questa edizione deluxe dell’album che ce lo restituisce artista (ben) fatto e (ben) finito.
Una cosa che ritorna sempre parlando di Alfa è che rappresenta una generazione.
«Beh, mi piacerebbe, ma sono cose che valuti a distanza di vent’anni. Oggi non ci penso tanto, perché condizionerebbe la scrittura, secondo me si imborghesirebbe. Mi fa ridere che la generazione successiva alla mia si chiama Generazione Alfa»
Il duetto con Roberto Vecchioni a Sanremo, ora questa nuova versione di Me gustas tu con Manu Chao: frequenti persone interessanti.
«Ho beccato Vecchioni due giorni fa, alla Iulm di Milano, dove insegna. Mi ha abbracciato e mi ha detto: «Mi hai sostituito?», che è una cosa incredibile. Chiaramente facendo questo lavoro mi sto togliendo degli sfizi da ascoltatore, e io non nascondo di essere fan»
Un featuring che ti piacerebbe particolarmente chiudere in futuro?
«Per me ce n’è uno su tutti: Jovanotti. É stato il mio primo concerto, avevo cinque anni, proprio da lì forse inconsciamente mi sono detto “vorrei fare questo lavoro”»
Tornando a Manu Chao, ti ha spaventato l’idea di toccare un brano importante come Me Gustas Tu?
«Mi stavo cagando sotto, non l’avrei mai fatto uscire se non avessi avuto la voce originale di Manu Chao, perché un campionamento su una canzone del genere sarebbe stato svilente. C’ho messo un po’ a trovare il coraggio di scrivergli e ancora di più per mandargli l’audio. Ho chiesto l’approvazione al mio manager, all’etichetta, mi sono fatto consigliare dai miei amici, anche perché poi lì è one shot: cioè se gli mandi un pezzo che gli fa cagare, ti sei giocato un po’ tutto».
Forbes ti ha inserito tra gli under 30 italiani che avranno maggiore impatto nel futuro per la categoria intrattenimento. In che modo credi di essere impattante?
«Forse sono controcorrente nell’essere positivo e propositivo. È quasi fastidiosa la mia energia, che è una cosa che oggi i miei colleghi non mostrano tanto».
Effettivamente è una tua caratteristica.
«Che deriva dal fatto che per me questo non è un lavoro. Per me la musica ancora oggi ha quella funzione catartica e leggera per cui mi diverto. Oggi vorrei imparare a scrivere canzoni molto più pesanti, imparare a crescere, perché poi con le canzoni leggere non ci fai una carriera».
Questa necessità la senti più come artista, per avere anche colori diversi, o la senti più come ragazzo che ha anche altro da dire?
«Ci sono dei sentimenti che sto attraversando e vorrei riuscire a trovare le parole con la stessa semplicità con cui le trovo per A me mi piace. Questa cosa mi crea un po’ di sofferenza, vorrei riuscire a prendermi più sul serio».
Con il tuo atteggiamento positivo e solare ti sei mai sentito scomodo rispetto il machismo della musica che va oggi?
«Tantissimo. Nel 2019, quando sono uscito con Cin Cin, pativo il fatto che i miei colleghi non mi sponsorizzassero, quindi ho fatto tutto un lavoro per omologarmi, infatti credo di aver fatto uscire canzoni meno forti. Poi a un certo punto mi sono detto: “Io non so essere quella cosa lì, io non so essere credibile vestito Gucci dalla cima ai piedi, non so essere credibile a parlare di certe cose che non mi appartengono”. Non scrivo una canzone perché ho il fegato spappolato, la scrivo perché sono speranzoso. Ci ho fatto pace con ‘sta roba qua, con un bel po’ di psicanalisi. Però sì, ho avuto la sensazione di sentirmi un po’ diverso, e diverso può essere speciale, però all’epoca mi sentivo diverso e basta».
Hai parlato spesso di bullismo, ora che sei un artista di gran successo senti un senso di rivalsa?
«C’era un ragazzo che mi bersagliava, la sua fidanzata oggi è una mia fan e lui mi ha contattato per chiedermi gli accrediti per un concerto e io glieli ho dati. Non ho sentimenti di vendetta nei loro confronti, però c’è una cosa che mi hanno trasmesso e non mi si stacca: il senso di inferiorità istintivo, quella roba per cui io entro in un contesto e non mi sento abbastanza subito. Ci sto lavorando tanto, perché è il mio peggior difetto: alla prima cosa che non va, ritorno ad essere quel ragazzino. Quindi sì, sento un senso di rivalsa ma più con me stesso che con loro. Di loro non me ne frega proprio un cazzo»
Parlando con te torna spesso la parola “Destino”. Il tuo disco si intitola Non so chi ha creato il mondo ma so che era innamorato, un titolo che richiama a qualcosa di mistico, di cattolico…Tu credi in Dio?
«Sì, credo. Ho un mio rapporto con la spiritualità molto personale, sono cristiano e credo che ci sia qualcosa di più. La musica è sempre stato un mio sogno e mi è capitata in una maniera troppo assurda per non credere che ci sia qualcosa di più. Io non ho mai cercato successo, cioè l’ho voluto, l’ho desiderato, l’ho sognato, ma con la tipica distanza genovese un po’ cinica del “vabbè, figurati se mi succede”. II fatto che Cin Cin, che è una canzone che ho caricato su un sito al liceo, senza manager, senza etichetta, sia diventata quello che è diventata, è proprio figlio di qualcosa al di là della canzone. Era destino che accadesse. Quindi come faccio a non pensare che ci sia qualcosa di più grande?».
In che modo vivi la notorietà?
«Mi spaventa un sacco perché è qualcosa che ti chiude in una bolla e ti rende molto distante. Io quella roba la soffro e la combatto. Perché è proprio una questione chimica: quando fai un concerto, ti sale un’adrenalina che poi ti manca. Sono scariche chimiche che per forza ti modificano la visione delle cose. Per me il miglior modo per fregare il mio cervello è circondarmi di normalità».
Tipo?
«Intanto non frequentare persone di questo mondo o persone che potrebbero ingrandire il mio ego. Io, per esempio, ho degli amici con cui parlo dei loro esami di design dell’università e del mio concerto per Radio Italia, e le cose, te lo giuro, sono sullo stesso piano, sia per me che per loro. Questo è il mio modo di salvarmi, perché poi il successo veramente ammazza la gente se non ci si sta attenti. Perché è quella cosa che sembra che tappi alcune insicurezze e vada a colmare delle mancanze, ma non fa niente. Il successo è gassoso, quindi non deve diventare parte di te: è una cosa del tuo lavoro, non sei tu»