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«Uccisa in un cantiere Pnrr»: la famiglia di Martina Carbonaro chiede un risarcimento. Poi l’appello a Meloni: «Perché era abbandonato?»

11 Giugno 2025 - 14:52 Ugo Milano
martina carbonaro
martina carbonaro
Secondo il consulente tecnico ingaggiato dai familiari, «la totale assenza di controlli» potrebbe aver rappresentato «un invito a delinquere»

La famiglia di Martina Carbonaro, la 14enne uccisa dall’ex fidanzato ad Afragola (Napoli), farà richiesta di risarcimento. Lo ha annunciato l’avvocato Sergio Pisani, legale della famiglia. «Ritengo che ci siano delle gravi responsabilità da accertare. Sicuramente non c’erano adeguate misure di sicurezza nel cantiere dove Martina è stata uccisa, dove Alessio ha trovato l’arma del delitto e dove poi ha cercato anche di occultarne il corpo», spiega Pisani. Interpellato dall’Ansa, il legale rivolge un appello anche alla premier Giorgia Meloni: «Chiedo il suo intervento per capire com’è possibile che un cantiere finanziato con i fondi del Pnrr versasse in condizioni di totale abbandono, senza la minima predisposizione di misure di sicurezza».

Il ritrovamento del corpo

Secondo quanto accertato dall’architetto Paolo Sibilia, consulente tecnico nominato dalla famiglia della vittima, Martina Carbonaro non è stata uccisa in un «casolare abbandonato», come inizialmente riportato, ma in un cantiere pubblico e attivo, finanziato con fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un luogo, precisa Sibilia, che avrebbe dovuto essere sotto rigorosa vigilanza e invece è rimasto incustodito. «Martina è stata uccisa nei locali sovrastanti gli spogliatoi del palazzetto, all’interno del centro sportivo comunale Luigi Moccia, una struttura polivalente con uno stadio di calcio, un campo da rugby, un palazzetto dello sport e perfino la sede del mercato settimanale. È proprio qui che il corpo della giovane è stato nascosto e poi ritrovato», spiega ancora il consulente.

La tesi del consulente tecnico

Se l’omicidio è stato premeditato, prosegue il ragionamento del consulente tecnico, «la scelta di questo luogo non è certo casuale», perché «la totale assenza di controlli ha rappresentato un invito a delinquere». Se invece l’omicidio non era premeditato, «il cantiere ha fornito un’opportunità perfetta: la pietra, usata come arma, era lì a portata di mano, e la tranquillità del posto ha permesso all’assassino di agire indisturbato e occultare il corpo. Nonostante le ripetute richieste formali di chiarimenti e documentazione inviate dall’architetto Sibilio all’ufficio Pnrr, ad oggi non è pervenuta alcuna risposta», denuncia l’avvocato Pisani.

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