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Vertice Nato, Spagna e Slovacchia frenano sul 5% in difesa: il rischio di un accordo al ribasso e la furia di Trump

23 Giugno 2025 - 22:04 Simone Disegni
Donald Trump Mark Rutte
Donald Trump Mark Rutte
Il summit dell'Aja che parte domani dovrebbe formalizzare l'impegno all'aumento delle spese militari. Il generale Camporini a Open: «Obiettivi arbitrari, l'Europa si prepari al dopo-Usa»

Dopo mesi di attese e preparativi, il vertice Nato dell’Aja si apre con incertezze e malumori di cui il padrone di casa – l’ex premier olandese e ora segretario generale Mark Rutte – avrebbe fatto volentieri a meno. I capi di Stato e di governo dell’Alleanza atlantica – 32 Paesi, dal Canada alla Turchia – si trovano in Olanda, a partire da domani, martedì 24 giugno. Sarà la prima «vera» visita di Donald Trump in Europa dal ritorno alla Casa Bianca, se si esclude l’improvvisata a Roma per i funerali di Papa Francesco. Per non farsi cogliere impreparati, i governi europei e i vertici Nato lavoravano da mesi per far trovare al presidente Usa il pacco regalo pronto da scartare: una bella dichiarazione congiunta di impegno ad aumentare le spese militari di ciascun Paese al 5% del Pil. Proprio come richiesto nei mesi scorsi dal Commander in Chief. Nell’ultima manciata di giorni, sembrano essersi allineate però tutte le condizioni perché il presidente Usa sbarchi in Olanda col grugno: in cima ai suoi pensieri c’è e non potrà che continuare ad esserci il Medio Oriente, specie ora che l’Iran ha lanciato la sua rappresaglia contro obiettivi americani nella regione. È per seguire quegli sviluppi che Trump ha rinviato il suo viaggio: dovrebbe arrivare all’Aja solo domani, in tempo – si spera – per la cena di gala offerta dai Reali d’Olanda. Ma al contempo sul fronte interno una piccola grande «sommossa politica» dentro l’Alleanza ha rischiato seriamente di annacquare l’ambizione delle conclusioni del vertice.

La sfida della Spagna e il compromesso last minute

Ad aprire il fronte della «rivolta» contro il surge nelle spese militari – l’obiettivo di riferimento Nato era sin qui meno della metà, al 2% del Pil – è stato di Pedro Sánchez. Spendere il 5% del Pil in difesa? «Per la Spagna sarebbe non solo irrazionale, ma perfino controproducente» e comunque «incompatibile col nostro sistema di welfare e con la nostra visione del mondo», ha messo nero su bianco Sánchez in una lettera a Mark Rutte. Chiedendo di fatto un’esenzione per la Spagna dall’obiettivo comune. Brutta gatta da pelare. Di fronte all’impuntatura di Madrid, Rutte ha dovuto passare il weekend a negoziare per scongiurare che saltasse la dichiarazione congiunta. Risultato raggiunto, alla fine, al prezzo di un compromesso sul filo delle parole: a proclamare l’impegno ad investire il 5% del Pil in difesa saranno «gli alleati» – e non «noi» – così che chi non si riconosce davvero in quel traguardo potrà dire che riguardava «gli altri». Soluzione brillante per Sánchez, che domenica ha rivendicato con orgoglio il risultato ottenuto di fronte alla propria opinione pubblica, parlando di un «accordo storico» che permetterà alla Spagna di «continuare a essere un membro chiave dell’Alleanza contribuendo in maniera proporzionale alle proprie capacità, senza dover aumentare le proprie spese in difesa né impegnare il 5% del Pil». La botte piena e la moglie ubriaca. Ma se ad altri governi, visto l’«affare» fatto da Sanchez, venisse in mente di accordarsi e chiamarsi fuori? Che ne sarebbe alla fine del «solenne impegno» preso al cospetto di Trump?

Le rassicurazioni di Rutte e la «marachella» della Slovacchia

Rutte oggi non a caso si è affrettato a precisare che la Spagna «non ha avuto nessun opt out né accordo parallelo». Però ha riconosciuto che i Paesi alleati «hanno il diritto sovrano e la flessibilità» nel definire il percorso tramite cui conseguire gli impegni su cui, comunque, «tutti sono d’accordo». Quanto è bastato per ringalluzzire un secondo premier europeo, il populista Robert Fico, che ha rivendicato come anche la Slovacchia intenda proprio «riservarsi il diritto sovrano di decidere a quale ritmo e in quale forma aumentare il bilancio del ministero della Difesa». Più chiaramente, così come Madrid anche Bratislava «è in grado di soddisfare i requisiti della Nato anche senza un sostanziale aumento della spesa per la difesa al 5% del Pil» visto che per il Paese ci sono «altre priorità nei prossimi anni rispetto agli armamenti». Chi ha la faccia più tosta, insomma, fa già capire che il bilancio della difesa lo aumenterà sì, ma nei tempi e modi che sceglierà autonomamente. Gli altri osservano e prendono appunti. Pronti a sfilarsi più o meno silenziosamente dagli impegni quando magari la pressione (geo)politica dovesse allentarsi o il vento cambiare? Secondo qualcuno il rischio c’è, eccome.

Chi ha tempo (non) aspetti tempo

«Alla fine la formulazione che emergerà da questo vertice impegnerà più o meno formalmente i firmatari a fare qualcosa nel lontano futuro, quando tutti si augurano che non ci sia più Trump o un trumpiano alla Casa Bianca», dice schietto come sempre a Open Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore della Difesa. Insomma al di là della Spagna e della Slovacchia molti nelle ultime settimane hanno giocate a scalciare la palla un po’ più lontano: Paesi in teoria ben più vicini all’Amministrazione Trump. Sono stati proprio l’Italia e il Regno Unito infatti a chiedere e alla fine ottenere che per i nuovi target di spesa venisse fissata la deadline al 2035, e non al 2030 come inizialmente ipotizzato dalla Nato. Le rimostranze di vari Paesi Alleati sulla fattibilità degli impegni hanno poi portato allo «sdoppiamento» dell’obiettivo del 5%: le spese militari vere e proprie dovranno arrivare in realtà “solo” al 3,5% del Pil, mentre un altro 1,5% potrà arrivare da spese complementari di varia natura del settore della sicurezza e delle infrastrutture. Al di là dei modi diplomatici, il segnale di una frattura netta, sostiene ancora Camporini. Che può dire ciò che ministri e dirigenti di forze armate europee varie ovviamente non possono. «Ma da dove viene quel 5%? Questo signore un giorno si alza e lo spara, e pretende che gli altri vi si allineino, quando gli Usa stessi spendono il 4%. È vergognoso. Sarebbe semmai un’analisi seria e razionale delle esigenze operative Nato a dover determinare gli obiettivi di spesa, non certo il contrario!».

La minaccia russa e la crescita delle spese in difesa

Sul peso delle divisioni e dei malumori che caratterizzano il vertice dell’Aja non tutti sono d’accordo, però. Un altro osservatore privilegiato come Alessandro Marrone, responsabile del Programma Difesa dello Iai, pensa invece che l’accordo che il summit dovrebbe partorire sarà ben più solido di quanto qualcuno tema (o speri). «Quella di Sánchez è una questione di politica interna, ne va della sopravvivenza politica del suo governo. Ma nei fatti la traiettoria d’investimento militare ormai è impostata, considerati i due fattori chiave di contesto: l’aggressione e la militarizzazione della Russia e il fatto che l’Europa potrà contare sempre meno sull’America. D’altra parte in 10 anni l’aumento sino al 2% concordato è stato reale». Soprattutto, sottolinea Marrone, al di là del wording della dichiarazione finale conterà il modo in cui gli impegni presi saranno via via verificati, e la Nato «guidata» dall’Amministrazione Usa si appresta ad esercitare un ruolo di attento controllore, tramite revisioni costanti e monitoraggi vertice per vertice cui gli Alleati dovranno “sottoporsi”. Insomma, al di là di qualche oggettivo «equilibrismo politico» compiuto in queste settimane (anche dal governo Meloni) la traiettoria è chiaramente segnata.

Il fattore Trump e il gioco d’azzardo di Sanchez

Su un punto comunque gli osservatori concordano, e cioè che conoscendo l’umoralità del personaggio dare per garantito il buon esito del vertice alla vigilia dell’apertura è impossibile. «Può succedere di tutto», preconizza tetro Camporini. Secondo cui, comunque, come spiegato sul Foglio, resta il fatto che gli europei devono prepararsi a prendere loro stessi in mano le redini della Nato se e quando – caso tutt’altro che scolastico – la Casa Bianca dovesse annunciare un disimpegno militare dal continente. E in quest’ottica, nel medio periodo, l’«imboscata» tesa dalla Spagna a pochissimi giorni dall’apertura del vertice non piacerà neppure ai partner europei: «Cosa ne dovrebbero pensare quei Paesi dell’Est Europa che hanno la minaccia russa alle porte di casa e quell’obiettivo del 5% lo hanno già raggiunto o quasi? Di certo non vivranno bene questa mancanza di solidarietà che è prima di tutto intra-europea. Alla fine a uscire indebolita da questa vicenda è la Spagna stessa», chiosa Marrone.

In copertina: EPA/YURI GRIPAS / POOL | Il presidente Usa Donald Trump col Segretario generale della Nato Mark Rutte – Washington, Usa, 13 marzo 2025.

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