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Lo studio americano sul plasma iperimmune e il caso De Donno

13 Agosto 2025 - 22:07 Juanne Pili
Chi continua a citare lo studio che riabiliterebbe la terapia al plasma dovrebbe almeno leggerlo

Torna a circolare una narrazione risalente al 2022 secondo cui uno studio americano avrebbe dato ragione a Giuseppe De Donno sull’efficacia e sicurezza della terapia al plasma iperimmune contro le forme gravi di Covid-19. Si tratta della stessa ricerca di cui ci occupammo tre anni fa. A ribadire che il paper non dà ragione a De Donno ci hanno pensato anche il collega Michelangelo Coltelli di Butac in una analisi recente.

Per chi ha fretta:

  • Lo studio in oggetto per come è stato condotto non “ribalta” le nostre conoscenze sull’efficacia del plasma iperimmune.
  • Lo studio in oggetto non è collegabile all’operato di Giuseppe De Donno per il quale venne contestato attraverso i media.
  • Il plasma iperimmune risulta uno strumento utile solo per coloro che hanno problemi relativi al proprio sistema immunitario come gli immunocompromessi.

Analisi

Le condivisioni in oggetto sulla presunta riabilitazione della terapia basata sul plasma iperimmune riportano come fonte un articolo di Fidelity Donna. Il tutto è accompagnato dalla seguente didascalia:

De Donno, il medico aveva ragione: hanno scoperto che…Altro…

I notevoli limiti del plasma iperimmune in sintesi

Come spiegavamo nella nostra precedente analisi, lo studio pubblicato all’epoca dal New England Journal of Medicine si inserisce certamente in un filone di studi che suggeriscono una certa efficacia del plasma (cosa che nessuno nega), ma non conferma affatto il suo uso come migliore arma contro le forme gravi di Covid-19. Caso mai è il meno peggio a cui ci si può appoggiare in assenza di vaccini e farmaci mirati.

I risultati che dovrebbero attestare una qualche efficacia riguardano i pazienti ambulatoriali, non quelli ospedalizzati. La ricerca si è svolta su adulti sintomatici che risultavano positivi indipendentemente dai loro fattori di rischio e dallo stato vaccinale («regardless of their risk factors for disease progression or vaccination status»). Gli autori sostengono che la maggior parte dei pazienti erano non vaccinati e buona parte di quelli ospedalizzati – nonostante il plasma -, erano non vaccinati: «Evidence of efficacy in vaccinated participants cannot be inferred from these data because 53 of the 54 participants with Covid-19 who were hospitalized were unvaccinated and 1 participant was partially vaccinated».

Gli studi finora condotti non confermano un’efficacia del plasma iperimmune contro le forme gravi, ma continuano a sostenere il suo uso in fase precoce. Uno dei limiti del plasma iperimmune è che non tutti i pazienti guariti hanno un alto titolo anticorpale idoneo alla donazione, e la sua produzione non può curare tutti i malati a livello globale.

Sebbene il plasma iperimmune possa essere ottenuto più rapidamente rispetto a un monoclonale “aggiornato” e risulti utile per persone con problemi al sistema immunitario, come gli immunocompromessi, le condizioni pandemiche sono intanto cambiate rendendo disponibili mezzi di prevenzione e cura ben più sicuri ed efficaci.

Conclusioni

Nessuno studio serio ha riabilitato la cura al plasma iperimmune come migliore e più sicura nel trattamento delle forme gravi di Covid-19. Quello in oggetto riguarda pazienti ambulatoriali non ospedalizzati.

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