Il ritorno di Draghi: «Ue spettatrice su Gaza e Ucraina, si riformi o finirà stritolata». L’appello al Meeting di Rimini: «Agite voi cittadini»


Da Rimini – O l’Europa innesta una nuova marcia o può dire addio definitivamente alle sue velleità di incidere sugli equilibri del mondo: quel che è accaduto negli ultimi mesi significa per l’Europa la fine dell’illusione che la potenza economica potesse generare ipso facto anche quella geopolitica. Perché il mondo in cui l’Ue è cresciuta non c’è più. È con una sferzata storica che l’ex presidente del Consiglio Mario Draghi prova a dare – ancora una volta – la sveglia al continente dal palco del Meeting di Rimini, la cui 46esima edizione si è aperta questa mattina. «Abbiamo dovuto rassegnarci ai dazi imposti da nostro alleato più antico, gli Stati Uniti. E siamo stati spinti da esso ad aumentare le spese militari, in forme e modi che forse non riflettono i veri interessi dell’Europa», graffia senza troppi giri di parole l’ex governatore della Bce. Che ricorda impietoso come il Vecchio Continente oggi sia incapace di incidere davvero su tutti i tavoli che contano: «Ha avuto una ruolo marginale nei negoziati per la pace tra Russia e Ucraina, è stata spettatrice quando gli impianti nucleari sono stati bombardati e quando il massacro di Gaza si intensificava», enumera Draghi, attraendo l’applauso convinto della platea. Nessuna sorpresa, dunque, se nel mondo intero si diffonde un profondo scetticismo sul senso stesso dell’Unione europea.
La svolta necessaria per l’Ue
Che fare, dunque? Draghi, che un anno fa consegnava alla nuova Commissione von der Leyen il suo rapporto sul futuro della competitività europea, certo non pensa che l’Ue sia un progetto da archiviare. Se mai il contrario. Se vuole cambiare le coordinate e tornare a incidere su un mondo irriconoscibile rispetto a qualche anno fa, dove torna a contare la cruda potenza, l’Ue deve cambiare marcia, e in fretta. La scena di lunedì scorso a Washington, coi leader principali dell’Ue insieme alla Casa Bianca a difendere l’Ucraina e la sua stessa sicurezza, è un segnale nella giusta direzione, riconosce Draghi: «una manifestazione di unità che vale più di qualsiasi riunione a Bruxelles». Ma serve molto di più, argomenta l’ex premier: mutare la sua organizzazione politica, e procedere speditamente sul sentiero delle riforme economiche. Resta fisso il chiodo per Draghi delle barriere interne al mercato – normative e di altro genere – che bloccano la crescita. «L’Fmi calcola che se venissero ridotte al livello prevalente negli Usa la produttività del lavoro crescerebbe del 7% nell’arco di sette anni», ricorda l’uomo del whatever it takes. «Nessun paese che vuole sovranità può permettersi di essere escluso dalla produzione di tecnologie chiave: ogni dipendenza è incompatibile con la sovranità, cioè la capacità di disegnare il proprio futuro», sprona Draghi illustrando il paragone impietoso con i maxi-investimenti pubblici di Usa e Cina.
Il sussulto sui valori
Oltre ai nodi di policy ed economici, ricorda però infine Draghi, il sussulto che l’Europa può e deve avere deve porsi anche sul piano dei valori. Perché quelli su cui l’Ue è fondata – democrazia, libertà, pace, solidarietà, equità – ci vengono sì tuttora invidiati in tutto il mondo, ma al contempo non possono più essere dati per scontati. Dunque spetta in primis ai cittadini stessi assumere la nuova consapevolezza, e agire di conseguenza. «Trasformate lo scetticismo in azione», sprona alla fine Draghi in un appello tutto politico, che fa eco in qualche modo al richiamo stesso di questa edizione del Meeting («Nei luoghi deserti costruiremo con mattoni nuovi»). «La democrazia, siamo noi, voi: spetta ai cittadini decidere sue priorità. L’inazione è il peggior pericolo per l’Europa».