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Festival di Open, il cardinale Pizzaballa: «Israele si percepisce come unica vittima, non ha visione lucida del futuro» – Il video

19 Settembre 2025 - 17:20 Cecilia Dardana
Un intervento duro e lucido del patriarca di Gerusalemme sulla guerra in Medio Oriente e sulle prospettive di pace

«Il desiderio della fine della guerra c’è. Credo che oggi la maggioranza della popolazione sia stanca di questa guerra, ma questo non significa che chi vuole la fine della guerra voglia la pace dei palestinesi e la fine del conflitto». A parlare è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme, che è intervenuto ospite al Festival di Open, che si è inaugurato oggi a Parma. Un ragionamento lucido e amaro, insieme all’editore del giornale Enrico Mentana e al direttore Franco Bechis: «Sono due cose abbastanza diverse. Gli israeliani vogliono la fine della guerra perché ci sono troppi morti, perché c’è grande stanchezza. Ma questo non significa che ci sia un desiderio di soluzione del conflitto».

Una pace ancora lontana

Un intervento duro e lucido sulla guerra in Medio Oriente e sulle prospettive di pace, che secondo il porporato restano ancora lontane. Per Pizzaballa, il conflitto israelo-palestinese non si esaurirà con la fine delle ostilità: «Anche se finisse oggi, non sarebbe comunque la fine. Le conseguenze le pagheremo ancora per moltissimo tempo: ferite, sfiducia, rancore e odio resteranno a lungo».

L’emergenza umanitaria

Il cardinale ha raccontato le difficoltà quotidiane della sua comunità a Gerusalemme, nel cuore della città vecchia, dove i combattimenti si avvicinano sempre di più: «L’ultima volta che siamo riusciti a portare aiuti è stato quasi un mese fa: 10.000 pacchi alimentari e, per la prima volta da febbraio, frutta e verdura, 200 tonnellate. Abbiamo raggiunto 10.000 famiglie». La mancanza non è solo quantitativa ma anche qualitativa: «Senza proteine, frutta e vitamine, la malnutrizione diventa un problema gravissimo».

Le radici del conflitto

Secondo Pizzaballa, gli eventi recenti sono l’esito di un processo lungo decenni: «Il 7 ottobre è frutto di anni di polarizzazioni cresciute nel tempo. L’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995 era già segno di un pensiero radicalizzato che poi si è sviluppato, fino a entrare nelle istituzioni. Dall’altra parte è avvenuto lo stesso. L’incapacità di costruire fiducia e di sviluppare un linguaggio inclusivo ci ha portato al disastro di oggi».

Israele chiusa in una bolla

Il patriarca ha poi descritto una società israeliana divisa: «A Tel Aviv c’è una coscienza diffusa di quanto sta avvenendo, soprattutto tra il ceto medio e il mondo high tech. Ma Tel Aviv è una bolla, il resto del Paese vive un’altra realtà. Israele oggi si percepisce come unica vittima, e questo impedisce di avere una visione lucida e libera del futuro». A una domanda sul rischio che i palestinesi diventino “gli zingari del Medio Oriente”, il cardinale ha risposto senza esitazione: «Lo sono già». Un paragone che richiama le tragedie del Novecento e che denuncia l’attuale condizione di esclusione e precarietà.

Ripartire dalla società civile

Nonostante il quadro cupo, Pizzaballa ha indicato un orizzonte: «La coscienza dei popoli, dei movimenti, dell’opinione pubblica è viva. È lì che dobbiamo ricominciare: ricostruire un tessuto nel territorio, creare alleanze dentro la società civile che tengano viva l’umanità. Io religiosamente chiamo questo periodo “la notte”: sono temi duri, ma la notte poi finirà».

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