Perché Giorgia Meloni non vuole riconoscere lo Stato di Palestina: «C’è rimasto ben poco»


Giorgia Meloni non ha mai parlato in pubblico di Gaza e del riconoscimento della Palestina. Per cautela. Ma soprattutto perché secondo lei sarebbe un azzardo. «Io non sono contraria a un riconoscimento della Palestina, ma bisogna intendersi su cosa significhi. In questo momento è più logico concentrarsi sulla costruzione diplomatica, e sulla ricostituzione delle condizioni necessarie per l’esistenza di uno Stato, quando questo processo avrà prodotto dei frutti allora ci sarà anche un territorio e dei dati reali da riconoscere», ha detto secondo il Corriere della Sera. Lo scatto in avanti di Francia e Gran Bretagna insieme a Canada, Australia e altri paesi europei (fra cui Belgio, Finlandia e Portogallo) è un azzardo perché manca un pezzo dell’obiettivo diplomatico del 1948.
L’azzardo del riconoscimento della Palestina
«Di quale Stato palestinese stiamo parlando? Al momento c’è rimasto ben poco…», si chiede la presidente del Consiglio italiana. Proprio perché quel territorio e quella nazione oggi non esistono o ne è rimasto ben poco. Bisogna riconoscere che la posizione italiana è ormai minoritaria nella comunità internazionale. Sono 151 i paesi che hanno riconosciuto la Palestina. Anche se il governo italiano ha cambiato in qualche modo politica in questi mesi. Prima non votava le risoluzioni dell’Onu a favore della Palestina, ora o vota sì o si astiene. E ha votato anche la risoluzione francese per un percorso a tappe verso il cessate il fuoco e la ricostruzione. Ma il riconoscimento sarebbe un azzardo. Che cosa significa per la Palestina questa nuova ondata di «sì»?
Cos’è uno Stato
Per il riconoscimento uno Stato deve avere quattro caratteristiche: ci dev’essere un popolo che insiste su un territorio con un governo e la capacità di intrattenere rapporti diplomatici, secondo la Convenzione di Montevideo del 1933. La Palestina ha una popolazione permanente. Il territorio è in parte occupato da Israele. Mentre in Cisgiordania l’Autorità Nazionale Palestinese esercita funzioni limitate, sempre a causa della presenza israeliana. Infine, dal 2007 Gaza è sotto l’amministrazione di Hamas. Nel riconoscimento ci sono delle implicazioni pratiche. La prima riguarda le ambasciate. Oggi nel mondo ci sono solo Missioni Diplomatiche.
Le procedure
E ancora: un riconoscimento favorirebbe procedure come quelle per il rilascio dei visti e gli scambi commerciali tra i paesi. Per esempio i paesi che riconoscono la Palestina non potrebbero più comprare prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani nei territori occupati. Mentre all’Onu, dove oggi la Palestina è osservatore permanente, l’adesione richiede l’approvazione del Consiglio di Sicurezza. Dove gli Usa hanno diritto di veto.
Il ministro israeliano
Intanto il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar in un’intervista al Corriere della Sera dice: «Quel che ho potuto rilevare stamattina, quando mi sono svegliato, è che uno Stato di Palestina non esiste. Ma fino a questa settimana più di 140 Stati lo hanno riconosciuto. Ora una decina in più, forse». Secondo Sa’ar si tratterebbe di una decisione «moralmente aberrante e politicamente folle. Si deve essere ciechi per non rendersi conto che così si crea lo Stato di Hamas. E non permetteremo che succeda. Hamas prenderebbe velocemente il controllo della West Bank come ha fatto a Gaza nel 2007 dopo il ritiro di Israele dalla Striscia. Oggi da noi tutti ne vedono i pericoli. Esprimo apprezzamento per quei paesi che non si fanno trascinare in questa iniziativa».
L’annessione della West Bank
Sa’ar dice anche che l’annessione della Striscia «verrà affrontata dal governo israeliano. È però logico che un giorno le leggi d’Israele vengano applicate sulle comunità israeliane in Giudea e Samaria. Sarà il governo israeliano a valutare tempi e contenuti. Nessuna decisione sulla materia è stata presa al momento». Il ministro spiega che ci sono opzioni diverse: «Non c’è l’intenzione nemmeno di discutere l’annessione dei territori dell’Autorità palestinese perché noi non vogliamo controllare i palestinesi. Ciò che può essere discusso, ma non è ancora deciso, è implementare la legge israeliana sulle comunità israeliane che si trovano lì e non sono sotto l’autorità palestinese».
Noi israeliani siamo le vittime
Secondo Sa’ar «noi ci siamo ritirati da Gaza, smantellando tutte le nostre comunità, le nostre basi militari e persino le tombe del cimitero. Ma qual è stato il risultato? Che Hamas ha preso il controllo della Striscia, ha costruito il suo regno del terrore in terra e nel sottosuolo. E ha condotto continui attacchi contro di noi fino all’invasione e al massacro del 7 ottobre». La verità, secondo lui, è che «noi israeliani siamo le vittime. Nessun Paese avrebbe risposto diversamente. E Hamas è responsabile anche del perdurare della guerra poiché rifiuta di rilasciare i 48 ostaggi ancora nei tunnel di Gaza. Lo avessero fatto, la guerra sarebbe finita ieri».
Israele e il governo italiano
Infine, secondo il ministro «il governo italiano è stato in grado di essere d’aiuto sulla questione umanitaria molto di più di altri Stati. Ho apprezzato “Food for Gaza” del ministro Tajani. Apprezzo inoltre l’Italia per non supportare certe iniziative: la sospensione di accordi come quelli commerciali, infatti, comporterebbe un rincaro delle tariffe e costi tutti a danno dei consumatori europei. Non sono questi i modi di interagire con gli amici. Misure simili non sono state prese contro nessuno, neppure contro l’Autorità palestinese, che ancora oggi elargisce denaro per il terrorismo. Apprezzo dunque l’Italia e altri Stati come la Germania, l’Austria, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, che vi si oppongono sempre». Mentre i pacifisti della Flotilla saranno «trattati da terroristi» come vorrebbe Ben-Gvir: «Lei deve sapere che questa Flotilla è connessa ad Hamas, che la sostiene». È una grave affermazione. «Posso provarla».