«Bendati e derubati, alcuni forzati a baciare la bandiera israeliana». Il racconto di Alessandro Mantovani, giornalista fermato sulla Flotilla


«Esco dal carcere con una maglietta bianca, pantaloncini grigi e un paio di ciabatte. A parte la divisa, che ci hanno dato nel carcere, non ho più nulla. Non mi restituiscono carta d’identità, carte di credito, vestiti. Nulla. Riprendo solo il passaporto, ma quando sono già a bordo dell’aereo della Turkish Airlines che mi porta a lstanbul, dopo 72 ore passate tra caldo asfissiante e gelo, occhi bendati e polsi legati». Inizia così il racconto del giornalista Alessandro Mantovani, che per Il Fatto Quotidiano ha seguito la missione della Global Sumud Flotilla. Mantovani è tra i 26 italiani rientrati ieri dopo aver subito il fermo da parte della marina israeliana in acque internazionali. Si trovava a bordo dell’Otaria, a 60 miglia dalla striscia di Gaza.
La differenza tra marina israeliana e il “trattamento” di Ashdod
Il giornalista racconta le fasi dell’abbordaggio, su cui vengono usati anche degli idranti contro l’equipaggio. «A bordo non ci trattano male. La perquisizione è blanda. Ci lasciano dormire a prua con qualche coperta. Prendono il comando in direzione di Ashdod. Al mattino ci portano sotto coperta». Dopo 12 ore l’arrivo al porto israeliano e lì comincia il trattamento. «Vengono tenuti ore sull’asfalto. In ginocchio. Urlano, se ti azzardi a parlare. O ti sbattono la faccia a terra. Peggio di tutti va a Greta Thunberg. Hanan Alcalde, un’influencer spagnola, viene invece costretta a baciare la bandiera israeliana. Dopo ore di formalità in un grosso hangar ci portano nel carcere di Ketziot. C’e chi racconta di aver incrociato in prigione cani che abbaiavano. Poi arriva il ministro della Sicurezza nazionale Ben-Gvir (me lo raccontano, io non lo vedo) che arringa i poliziotti».
Nel carcere di Ketziot
In cella sono in 10, zero ore d’aria. «Mangiamo peperoni crudi, riso, marmellata, yogurt e uova sode. Beviamo acqua poco convincente dal rubinetto. Impossibile avere acqua minerale», racconta. «In cella si dorme – sottolinea Mantovani – tranne quando iniziano a spostarti da un braccio all’altro, anche senza un motivo apparente. Finalmente, per 15 minuti, possiamo incontrare la console italiana. L’ambasciata italiana in Israele non s’e segnalata per la sua grande attività in questi giorni. Il consolato a Istanbul ci ha trattato meglio. Eppure è una situazione dura. Nel cellulare, per esempio, passiamo ore a una temperatura bollente. Entriamo bendati e ammanettati con delle fascette ammanettati con delle fascette, Togliamo la benda, allentiamo le fascette e quando finalmente ci addormentiamo aria condizionata gelida». Negata la chiamata dell’avvocato. Chi lo ha assistito nell’interrogatorio gli spiega che firmando un foglio verrà espulso in 72 ore. Lo stesso foglio, sottolinea il giornalista, è stato negato a un suo compagno di Flotilla. «A Istanbul veniamo accolti con tutti gli onori dalle autorità di governo e in serata posso ripartire per Roma. Ma altri 300 partecipanti alla Flotilla sono rimasti in carcere a Ketziot. Esposti a vessazioni e ritorsioni. E tra loro almeno 15 italiani», conclude Mantovani.