La bomba da stadio, la pista nera, gli ultras: l’indagine sull’attentato a Sigfrido Ranucci


Una bomba da stadio. E cinque possibili piste. L’indagine sull’attentato a Sigfrido Ranucci parte dall’ordigno nascosto tra i vasi e un cancello davanti casa a Campo Ascolano. E dal litorale tra Ostia e Torvajanica, dove si incrociano gli interessi dei clan albanesi, della camorra e della mafia romana. Ma con l’ipotesi che questa sia solo la manovalanza. E che il mandante vada invece ricercato con gli affari collegati al porto di Fiumicino. Sospetti in qualche modo confermati dal conduttore di Report: «Questo territorio è stato per anni zona di potere dei trafficanti albanesi. Quelli dello stesso giro di Diabolik. Ci sono tante, troppe cose che portano sempre a lui». Diabolik, ovvero Fabrizio Piscitelli, l’ultrà della Lazio ucciso al Parco degli Acquedotti.
L’attentato a Ranucci e la bomba da stadio
Per l’inchiesta sarà fondamentale l’analisi di quel che resta del chilo di esplosivo che giovedì sera alle 22.17 è esploso attraverso una miccia e non un timer, come ai vecchi tempi. Si parla di polvere pirica pressata. E di un ordigno di fabbricazione artigianale. Il sospetto di chi indaga va sugli esponenti della criminalità locale. A due chilometri dalla casa di Ranucci nel 2020 l’albanese Selavdi Shehaj è stato ucciso da Raul Esteban Calderon, già condannato all’ergastolo per l’omicidio di Diablo. Ammazzato su una panchina a Roma nel 2019 in una guerra tra bande per il traffico di droga. Poi c’è la ricostruzione temporale. Che nota come i primi proiettili sotto casa Ranucci sono arrivati dopo una puntata di Report sull’omicidio di Piersanti Mattarella.
La pista nera
E puntavano sui legami tra stragi di mafia e l’eversione di estrema destra. Nel 2024 Report ha anche parlato dei legami tra Piscitelli e il boss Michele Senese. Considerato il referente della camorra nella Capitale. E ancora: nel febbraio 2025 Daniele Autieri si è occupato delle infiltrazioni delle mafie nelle tifoserie di Inter e Milan. Del novembre 2024 è invece l’inchiesta di Claudia Di Pasquale sulla realizzazione di un porto privato a Fiumicino da parte della Royal Carribean. C’è anche un ultimo episodio che ha generato minacce. Nel novembre 2024 un servizio sull’industria bellica e la cybersecurity israeliana. In cui si parlava anche di Gaza e di armi di Israele.
Qualcuno che viene da fuori
Il Messaggero ricostruisce i sospetti degli investigatori su qualcuno che potrebbe essere arrivato da fuori Roma. E che però potrebbe aver chiesto supporto operativo o l’ok all’azione a chi è padrone del territorio. Secondo una metodologia che da sempre appartiene alle mafie. E che era una questione puramente territoriale all’epoca dei fasti di Cosa Nostra in Sicilia. Ma quelli erano altri tempi. Nei quali l’esplosivo arrivava dall’Europa dell’Est e si utilizzavano i timer al posto delle micce. E c’è chi ricorda le due puntate dedicate da Report agli ultras dell’Inter. E agli affari intorno a San Siro, dal merchandising ai biglietti per le partite e i concerti. Naturalmente è solo una coincidenza che proprio oggi si giocherà Roma-Inter allo stadio Olimpico. Però gli inquirenti pensano che la pista del tifo legato a criminalità e ultradestra possa dare buoni frutti.
L’audizione di Ranucci
Il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi ha voluto partecipare di persona, nell’ufficio del suo collega Carlo Villani, all’audizione di Ranucci. Mentre c’è chi ricorda che in quella fetta del litorale romano la presenza del crimine organizzato è cominciata a fiorire negli anni Novanta. Quando hanno cominciato a presentarsi in zona famiglie siciliane e calabresi. Alcune perché mandate in soggiorno obbligato. Per esempio i Fragalà e i Barbieri. I primi erano a un passo dallo scontro con il clan Senese e a fare da paciere era stato un altro ospite di queste parti, Francesco D’Agati, “Zio Ciccio”, uomo di Pippo Calò.
Il boschetto vicino casa
«Accanto alla mia casa c’è un boschetto dove si spaccia e questo territorio per anni è stato, e in parte lo è ancora, zona di potere dei narcotrafficanti albanesi, quelli dello stesso giro di Diabolik, per intenderci. Ci sono tante, troppe cose che portano sempre a lui», ha spiegato Ranucci. E ancora: «Dopo quell’inchiesta in cui parlavamo anche degli interessi dei narcos albanesi e dei loro rapporti con il cartello messicano di Sinaloa, mi arrivarono dei messaggi, alle 5.30 del mattino, da un avvocato. Mi confidò di avere avuto l’incarico dal cartello per compiere un’attività di depistaggio e dossieraggio contro di me. Denunciai tutto. L’avvocato fu sentito in procura ma senza alcun esito».
L’hinterland romano
L’attentato a scopo intimidatorio era stato preparato da giorni. Perché Ranucci era fuori per lavoro e soltanto l’altroieri è tornato a casa. Un a mano da professionisti. Riconducibile, per gli investigatori, alla criminalità organizzata. Probabilmente legata alle dinamiche dell’hinterland romano. Ranucci è stato evidentemente pedinato finché non è arrivato a casa a Campo Ascolano, a 500 metri dalle dune di Capocotta. Ha aspettato che rientrasse e che gli agenti della scorta si allontanassero. Poi il botto. Evidentemente in quei minuti l’attentatore si è avvicinato all’auto, ha piazzato la bomba e si è allontanato dopo aver acceso la miccia.
L’esplosione, l’uomo incappucciato, l’auto rubata
Allontanato come? E come è arrivato? Alcune testimonianze potrebbero aiutare a far luce. Come quelle che hanno raccontato di un uomo incappucciato che è stato visto scappare dopo l’esplosione. E il ritrovamento di un’automobile rubata (un mese e mezzo fa a Ostia) in un vicolo parallelo a quello in cui abita il giornalista. E allora la ricostruzione più credibile è quella di un arrivo con un’automobile “da sacrificare” – e per questo rubata – e di una fuga con un complice in attesa in zona. Almeno due persone quindi. Un chilo di polvere pirica, più facile da procurarsi rispetto a esplosivi più letali. Niente timer, troppo complicato. E la sensazione che non si debba andare molto lontano.