La rabbia della madre di Alberto Trentini contro il governo: «La pazienza è finita: si sono spesi poco per mio figlio»

«Fino ad agosto il nostro governo non aveva avuto alcun contatto con il governo venezuelano. Fino ad agosto. E questo dimostra quanto poco si sono spesi per mio figlio». Sono le parole di Armanda Colusso, la madre di Alberto Trentini, durante la conferenza stampa organizzata oggi a Palazzo Marino, sede del comune di Milano, a un anno esatto dall’arresto del figlio in Venezuela. La donna è tornata a ribadire tutta la sua rabbia e frustrazione per la gestione da parte delle istituzioni della situazione del figlio detenuto in Venezuela. «Sono qui dopo 365 giorni a esprimere indignazione. Per Alberto non si è fatto ciò che era doveroso fare. Sono stata troppo paziente ed educata ma ora la pazienza è finita», ha dichiarato.
I contatti con il governo
Nel suo intervento, la donna ha ricordato come in un anno abbia ricevuto «tre telefonate» dalla premier Giorgia Meloni e due incontri con Mantovano, con cui, precisa, «c’è costante contatto». E ricorda che il silenzio imposto inizialmente dal governo, finalizzato a non compromettere la posizione di Trentini, è stato poi rotto attraverso un’interrogazione parlamentare, necessaria – secondo i genitori – per fare veramente luce sul caso. Nei mesi scorsi, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, aveva replicato alle accuse sull’operato del governo: «Non siamo immobili perché già siamo riusciti a far uscire due cittadini italiani dal carcere. I cittadini italiani che sono detenuti in Venezuela sono tutti uguali, non ci sono quelli che sono più uguali degli altri, quindi il lavoro che stiamo facendo per Trentini è lo stesso lavoro che stiamo facendo per gli altri italiani detenuti. Stiamo continuando a lavorare. Non è facile»
La disperazione della famiglia: «Non riusciamo a darci pace»
La detenzione di Trentini, prosegue la madre, «è un’ingiustizia di cui non sappiamo darci pace. Alberto ci è mancato e ci manca ogni giorno». Rivolgendosi ai giornalisti, aggiunge: «Voglio dirvi quanto difficili siano stati questi 12 mesi per me e la mia famiglia. Mio marito non sta bene. Abbiamo vissuto notti insonne a immaginare come sta Alberto, cosa spera, di cosa ha paura. A mio figlio è stato tolto un anno di vita in cui non ha potuto godere dell’affetto della famiglia. Si è perso Natale, Pasqua, il compleanno, fare passeggiate, ascoltare musica, la possibilità di leggere. Ha trovato un paio di occhiali lì perché voleva leggere e cercare di essere tranquillo».
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La storia di Alberto Trentini: un anno fa l’arresto
Il cooperante veneto, originario del Lido di Venezia, è stato arrestato esattamente un anno fa a un posto di blocco in Venezuela, pochi giorni dopo il suo arrivo nel paese. Trentini, laureato in Storia all’università Ca’ Foscari e con master in assistenza e sanificazione dell’acqua conseguiti a Liverpool e Leeds, ha alle spalle oltre dieci anni di esperienze umanitarie in Ecuador, Etiopia, Paraguay, Nepal e Perù. Nell’ottobre 2024 era in Venezuela come coordinatore della Ong francese Humanity and Inclusion, impegnata nel sostegno alle persone con disabilità, quando è stato trasferito nella sezione più dura del penitenziario di El Rodeo I. Da allora, è detenuto senza accuse formali, senza processo e con contatti estremamente limitati con l’esterno: solo tre telefonate alla famiglia e una sola visita ufficiale, quella dell’ambasciatore italiano Giovanni Umberto De Vito. Le autorità venezuelane non hanno mai chiarito le ragioni del fermo, parlando genericamente di una «cospirazione». Le ricostruzioni più accreditate indicano un possibile uso politico dei detenuti stranieri. Alberto sarebbe diventato uno strumento di pressione da parte del governo di Nicolás Maduro nei confronti dei paesi considerati ostili.
