Gli Incubi di Nitro in un nuovo bellissimo album: «L’ho scritto in camper, il rap non dovrebbe mai dimenticare gli ultimi» – L’intervista

Si intitola Incubi il nuovo album di Nitro, uno dei più preparati e seguiti rapper della scena italiana. Un album che conferma la sua verve intellettuale, rabbiosa e sociale, forte di voci e barre che partono dallo stomaco e allo stomaco colpiscono duramente l’ascoltatore. All’interno dell’album collaborazioni con nomi storici della scena come Salmo, il primo a credere in lui, e poi l’amico Nerone, Tormento e Madman; ma anche con facce giovani e promettenti come quelle della bravissima Sally Cruz, Silent Bob, 22Simba, e Niki Savage.
Qual è il motore che ti ha spinto nella composizione di questo disco?
«Due anni fa ho comprato un camper per fuggire quando voglio, tre quarti del disco è stato scritto nel camper, in giro, e il fatto proprio di ritrovare il contatto con le cose primordiali, la natura, parlare con gli amici, fare musica spensierato, senza dover per forza essere in studio dalla mattina alla sera, sono cose che hanno portato a questo, un disco di stomaco che ricorda un po’ alcuni dei miei primi lavori»
Cosa assai gradita al tuo pubblico…
«La gente non capisce che se io avessi fatto questo disco dopo No Comment sarebbe sembrato il disco di un artista fossilizzato, che non riesce a fare nient’altro di diverso. Per me una cosa è riuscita se riesco a fare quello che volevo fare, se io voglio fare un film horror ti deve fare schifo, in base a quanto ti fa schifo capisco quanto il mio obiettivo è raggiunto»
Molti artisti ormai, specie nel rap, quando parlano di obiettivi pensano ai numeri…
«Non ho mai considerato i numeri come un coefficiente di riuscita di un mio disco»
Come mai Incubi?
«Perché è una cosa che riguarda la mia vita da quando sono piccolo, io ho sempre incubi molto lucidi, nel senso che riesco a ricordare scritte, riesco a leggere nei sogni, riesco a sentire melodie, odori…Inoltre mi piaceva perché è il mio primo titolo in italiano e quindi fa capire all’ascoltatore che è una nuova fase della carriera di Nitro»
E attraverso la musica riesci a esorcizzare questi incubi?
«Assolutamente, è come quando dici un segreto che ti opprime a una persona che ti sta vicino, sai che la sua percezione nei tuoi confronti potrebbe cambiare, però è liberatorio, quindi c’è una parte di vergogna, una parte che dice “Dopo che l’avrò detto mi sentirò meglio e mi farà meno male”, tantissime cose mie le ho scritte proprio in questa maniera»
Ci vuole coraggio immagino…?
«Per me essere un supereroe come Superman, un alieno nato in un posto diverso e con una superforza, è facile, mentre essere un supereroe che invece è come gli altri uomini, ma fa cose straordinarie, è un’altra cosa, è un modo per restare umani in un periodo in cui gli artisti sembrano figurine, modelli: tutto a posto, sempre tutto perfetto, niente che non va, a me invece piace mostrare le cose, anche perché così il mio pubblico non avrà sorprese»
Come mai hai deciso di aprire il disco proprio con Storia di un artista? Sembra che tu volessi mettere le cose in chiaro da subito…?
«Quel pezzo è merito di Slide, di Low Kidd, della mia ragazza, di Nerone e di tutti i miei amici, che mi dicono sempre che io sembro non rendermi conto di chi sono, che io mi valuto ancora come il ragazzino che è partito dal Veneto anni fa, o come una persona che non suscita interesse. Io faccio fatica ad immaginare l’importanza che ho rivestito per certe persone, la mia coscienza mi dice “Che cazzo gliene frega alla gente dei cazzi miei??”»
E come ti hanno convinto?
«Mi hanno detto che ho fatto tanto per una generazione, “Ci sono persone che grazie alla tua musica hanno cambiato vita, canzoni che hanno aiutato delle persone in momenti brutti, c’è gente che ha fatto figli con le tue canzoni, quindi raccontagli la tua storia, ci sono tanti ragazzi che si avvicinano oggi al rap che non sanno da quanto cazzo sei in giro e quante robe hai fatto. Ricordaglielo, fagli questo piccolo memorandum!”, e da lì è nata l’idea. Ho scritto il pezzo in un giorno, penso che sia stato l’ultimo pezzo del disco che ho scritto, perché io scrivo sempre l’intro alla fine, di solito»
È una cosa importante, senti di portare sulle spalle anche una certa responsabilità?
«Non posso essere responsabile come se avessi controllo su questa cosa, la musica una volta che esce non è neanche più mia, per quanto mi riguarda, non posso essere responsabile di come la gente reagisce alle mie parole, io mi devo sentire libero di esprimermi, anche perché il fatto che sono così aggressivo e ho questo linguaggio, questo modo di comunicare le cose così diretto, che magari fa sembrare che io sia una persona scontrosa, piena di spigoli, in realtà è quello che mi permette di essere una persona buona, super tranquilla nella vita normale»
Secondo te qual è il rapporto tra rap e impegno sociale, politico…
«Per me non è obbligatorio perché il rap si basa su educazione e intrattenimento, sei tu che devi decidere quali delle due strade prendere, come io faccio musica che asseconda i miei sentimenti, ci sono persone che magari fanno canzoni leggere perché non vogliono pensare al trascorso pesante che hanno e io non sono nessuno per giudicare il loro modo di affievolire il dolore.
Di base per me l’impegno è importante per il rap in qualunque caso, sociale o non, perché è una musica della gente, il rap è una musica popolare, non è una musica elitaria, quindi tu, che grazie alle tue parole sei riuscito a farti la casa, la villa, le collane, la vita da sogno, non ti senti un po’ in colpa del fatto che sei diventato un privilegiato raccontando le loro storie e loro non hanno niente? Questo lo dico soprattutto per tanti rapper che parlano di venire dalla strada, di situazioni di disagio, però poi appena fanno due soldi dalla situazione di disagio si tolgono allegramente, cercano quasi di scrollarsela di dosso. Invece per me il rap non si deve scordare dei meno fortunati, anzi dovrebbe essere l’unica speranza dei meno fortunati»
Per questo tieni la tua narrativa sempre fortemente legata alla tua vita?
«Si, io amo scrivere così, a me piace raccontare le cose delle persone, se mi piacesse raccontare il mio stile di vita esclusivo, vivrei uno stile di vita esclusivo, ma a me piace rimanere in mezzo alla gente, per me è una delle cose più belle del rap, perché anche una persona che non ascolta il rap può sentire una tua barra e dire “Cazzo, c’ha ragione!”»
In Luci blu ti chiedi, come un mantra, quanto è difficile piacersi, quanto lo è?
«Per me molto, per me è molto, molto, molto difficile, diciamo che mi sono sempre abbastanza detestato, quindi non è facile, sicuramente, per una cosa come la felicità ci vuole impegno»
Qual è la prima cosa che ti viene in mente pensando a questo disco?
«In questo disco ho acquistato consapevolezza, ho detto a me stesso “Tu ormai pensi in rap, devi smetterla di pensare che il tuo cervello non sia capace di fare questa cosa, probabilmente se ti metti a parlare a caso fai anche rima con le cose, quindi smettila di voler insegnare una roba al tuo cervello come se avessi ancora 13 anni e ascoltassi il primo disco rap, ormai è il tuo linguaggio, fallo andare, vai”»
Questa unicità credi che sia il tuo maggior traguardo finora in carriera?
«Sì, anche perché se c’è una roba difficile è essere originali, e a me sapere che quando entra una traccia, a volte già solo dal beat, capisci che sono io, per me è una grandissima soddisfazione, io non voglio essere migliore di qualcuno, non me ne frega niente, però quando la gente ascolta i miei dischi e dice “minchia, solo lui poteva fare una roba del genere”, è una gran soddisfazione»
Cosa ti piacerebbe che rimanesse di questo disco in chi lo ascolta?
«Mi piacerebbe che rimanesse la volontà che ho avuto di migliorarmi e di mettere in dubbio ogni cosa, di sconvolgermi artisticamente, di scompormi per ricostruirmi, perché è una cosa che non ero tenuto a fare, che molte persone nella mia posizione non avrebbero rischiato di fare, ma io sono uno che non si accontenta mai, e dopo 13 anni che ho settato anche uno standard alto di rap, cerco comunque sempre di migliorarmi, di stupirmi, di stupire gli altri, non perché voglio che parlino tutti di me, ma per far vedere che è un’arte che amo e che tendo a perfezionare da qui fino a quando morirò»
