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Egitto-Iran, la sfida ai Mondiali 2026 è già un caso. Il Pride, la beffa del sorteggio e le proteste alla Fifa: «Decisione folle»

09 Dicembre 2025 - 19:59 Simone Disegni
Il match si dovrebbe giocare a Seattle il 26 giugno, ma nessuno dei due Paesi vuole essere associato all'evento simbolo della comunità LGBTQ

Mancano sei mesi al fischio d’inizio e sui Mondiali di calcio 2026 «congiunti» in Usa, Canada e Messico è già aria di polemica. Meglio, di una di quelle culture wars su cui Donald Trump si butta volentieri a capofitto. Questa volta però il funambolico presidente Usa non c’entra nulla, almeno per ora. Il caso scoppiato nelle ultime ore riguarda Iran-Egitto, partita valevole per il gruppo G in programma a Seattle il prossimo 26 giugno. Gli organizzatori locali di Seattle avevano da tempo previsto che in omaggio al Pride che si tiene proprio nell’ultimo finesettimana di giugno quella partita sarebbe stata «brandizzata» come “Pride Match“, il match dell’orgoglio LGBT insomma. Per una coincidenza che ha il sapore della beffa, il sorteggio svoltosi venerdì a Washington – alla presenza di Trump stesso – a sfidarsi in quella partita saranno Iran ed Egitto, due Paesi che la comunità LGBTQ non la tollerano. A Teheran l’omosessualità è reato perseguibile con la pena di morte; al Cairo non lo è formalmente, ma di fatto viene spesso punita nell’ambito delle leggi contro «comportamenti indecenti». E ora da entrambi i Paesi piove la richiesta di tornare sulla decisione di Seattle per evitare un accostamento davvero imbarazzante.

epa12572980 The groups are on display at the end of the FIFA World Cup 2026 Final Draw at the Kennedy Center in Washington DC, USA, 05 December 2025. EPA/SHAWN THEW

Le proteste con la Fifa e il nodo dei visti per i Mondiali

Una scelta «irrazionale a sostegno di certi gruppi», quella di vestire la partita come “Pride Match”, ha attaccato il presidente della Federcalcio iraniana Mehdi Taj, che ha detto di aver già presentato «obiezioni sul tema» alla Fifa, insieme con i suoi pari grado egiziani. Difficile che a Seattle cambino idea, ma nei sei mesi che restano prima del via del Mondiale (11 giugno 2026) è possibile che la Fifa cercherà una soluzione. L’Iran peraltro dovrò far fronte ad altri grattacapi politici e pratici, considerato che con due dei tre Paesi in cui si svolgerà il torneo non ha relazioni diplomatiche: gli Stati Uniti, da quando nel 1979 gli studenti islamici protetti dal nascente regime degli Ayatollah assaltarono l’ambasciata a Teheran, e il Canada, che ha rotto i rapporti nel 2012 (e si fa rappresentare da allora dall’Italia). Inizialmente l’Iran aveva deciso di boicottare il sorteggio di venerdì per protesta contro il rifiuto degli Usa di concedere il visto d’ingresso ad alcuni membri della delegazione sospettati di legami con le Guardie della Rivoluzione. Solo un antipasto di quel che potrebbe capitare a giugno pure a giocatori o dirigenti. Alla fine la Federazione ha fatto retromarcia. Ma dall’urna è uscita una sorpresa ancora più amara.

In copertina: Saman Ghodous festeggia la qualificazione dell’Iran ai Mondiali al termine della partita con l’Uzbekistan – Teheran, 25 marzo 2025 (Ansa-Epa/Abedin Taherkenareh)

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