L’allarme del Fondo Monetario Internazionale: «L’Italia è un fattore di rischio per l’economia globale»

Dopo l’allarme di Banca d’Italia sul Pil e la recessione, il Fondo Monetario Internazionale paragona l’economia italiana alla Brexit. Salvini: «È l’Fmi che è una minaccia per l’economia mondiale»

Dopo la Banca d'Italia, è il Fondo monetario internazionale a tagliare le stime sulla crescita italiana. E lo fa in perfetta sintonia con via Nazionale. Anche per i tecnici dell'istituto di Washington quest'anno il Pil salirà soltanto dello 0,6%, vale a dire 0,4 punti in meno rispetto alle previsioni pubblicate a ottobre scorso. Una stima distante dall'1% programmato dal governo. A giustificare la revisione, si legge nell'aggiornamento del World economic outlook, sono «la debole domanda domestica e i maggiori costi di finanziamento dovuti ai rendimenti elevati sui titoli di Stato».


La situazione finanziaria dell'Italia, assieme a Brexit, è al primo punto tra i principali fattori di rischio globali indicati dal Fondo monetario internazionale nell'aggiornamento del World EconomicOutlook. «In Europa continua la suspence su Brexit, e il costoso intreccio fra rischi sovrani e rischi finanziari in Italia rimane una minaccia», ha detto il direttore della ricerca del Fmi, Gita Gopinath, presentando il rapporto a poche ore dall'inizio del forum economico mondiale di Davos.


In particolare, rileva il rapporto, «gli spread italiani(ovvero la differenza di rendimento fra titoli di stato italiani e quelli tedeschi, ndr) si sono ristretti rispetto ai picchi di ottobre-novembre ma rimangono alti. Un protratto periodo di rendimenti elevati», avvertono i tecnici dell'istituto di Washington, «metterebbe ulteriormente sotto stress le banche italiane, peserebbe sull'attività economica e peggiorerebbe le dinamiche del debito».Le parole del Fmi arrivano dopo quelle di Bankitalia, che ha tagliato le stime sulla crescita del prodotto interno lordo dall'1% allo 0,6% e ha prospettato la possibilità che il paese entri nuovamente in recessione.

Pronta la replica del vicepremier Matteo Salvini: «L'Italia è unaminaccia e un rischio per l’economia globale? Piuttosto è l'Fmi che è una minaccia per l’economia mondiale, una storia di ricette economiche coronata da previsioni errate, pochi successi e molti disastri», osserva il leader leghista.

Anche Luigi Di Maio conferma la linea del ministro dell'Interno, aggiungendo che«al Fmiha già risposto il presidente della Commissione europea, dicendo che hanno sbagliato a fidarsi del Fondo Monetario Internazionale sulla Grecia con l'austerità».
«Stiamo creando un nuovo stato sociale», ha aggiunto a margine dell'incontrodi oggi 21 gennaio con le Regionisul reddito di cittadinanza,«non arretriamo di fronte a chi addirittura definisce l'Italia una delle cause della recessione economica. Non lo possiamo accettare».

Il ministro dell'Economia Giovanni Tria ha dichiarato di non credere che «l'Italia sia un rischio, né per l'Unione europea né globale».Al termine dell'Eurogruppo ha affermato che«in realtà il rischio viene dalle politiche consigliate dal Fmi»e che «bisogna accumulare buffer fiscali per essere pronti e avere lo spazio per reagire in casi di crisi».
«Con questa tesi -ha commentato – non si vede che,accumulando mezzi per reagire alla crisi, si crea la crisi».

Di sicuro c'è che la ripresa «si sta indebolendo». La direttrice del Fondo, Christine Lagarde, assicura che la recessione, «non è ancora dietro l’angolo. Ma i segnali di rallentamento si fanno sempre più evidenti e i rischi per la crescita sono tutti al ribasso».

Le economie avanzate nel loro complesso subiscono una revisione al ribasso dello 0,1% a +2% nel 2019. Invariata invece la stima dell'1,7% per il 2020. Stabile anche la stima per gli Usa: +2,5% quest'anno e +1,8% il prossimo anno- L'Eurozona crescerà invece dell'1,6% a fine anno, lo 0,9% in meno rispetto alla stima di ottobre. Il taglio più pesante, pari allo 0,6% rispetto all'autunno scorso, tocca alla Germania, per un Pil in aumento dell'1,3%. In Europa dunquepesa la frenata del Pil italiano e tedesco (1,3% per il 2019) e quella della Francia (1,5%).

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