L’Ue agirà con forza contro i paradisi fiscali? Il nuovo rapporto Oxfam dice di no

di OPEN

Costano ai cittadini europei miliardi di euro. Eppure molti Paesi li tollerano. Nel 2017 l’Unione europea aveva finalmente deciso di costringere i paradisi fiscali a riformarsi, creando una lista nera di Paesi e indicano quali miglioramenti mettere in pratica. Una lista che l’Ue dovrebbe aggiornare a breve ma che, secondo un nuovo rapporto Oxfam, potrebbe segnare un passo indietro

Vi ricordate i Panama Papers? O Luxleaks? O ancora i Paradise Papers? Gli ultimi anni hanno visto emergere, grazie a una serie di inchieste giornalistiche, dettagli inquietanti sull’utilizzo di complicati stratagemmi per evadere il fisco. Un problema che riguarda non soltanto i singoli – come alcuni noti calciatori – ma anche ricchissime compagnie private.


Una vera e propria truffa ai danni dei cittadini che sono condannati a ricevere servizi pubblici più scadenti e al tempo stesso una pressione fiscale più alta, per non parlare dei vantaggi che ne traggono le multinazionali (a discapito delle compagnia più virtuose).


Nel dicembre del 2017, l’Unione europea aveva finalmente mostrato la volontà di mettere un argine a questo fenomeno, pubblicando una lista nera (blacklist) di paradisi fiscali, con lo scopo di costringerli a riformare il loro sistema fiscale, pena subire svantaggi commerciali e eventualmente anche sanzioni.

La blacklist dovrebbe essere aggiornata a breve, ma secondo un rapporto Oxfam – l’onlus che combatte la povertà del mondo segue con molta attenzione il tema da tempo – c’è il rischio che l’Ue faccia un passo indietro.

Innanzitutto perché, sempre secondo Oxfam, l’Unione europea avrebbe deciso di escludere dalla lista alcuni paradisi fiscali che sono stati al centro dei recenti scandali: come le isole della manica Jersey e Guernsey ma anche Panama e le Bahamas. Sulla lista dei cattivi rimarrebbero soltanto 5 isole caraibiche.

Non è dato a sapere esattamente il motivo dietro alla probabile esclusione di Guernsey o le Bahamas dalla lista, anche perché la decisione spetta al gruppo Codice di Condotta, un organo dell’Ue composto dai rappresentanti di 11 Paesi membri, che lavora in quasi totale segretezza, ma le ragioni sono probabilmente politiche.

Le stesse ragioni che hanno portato alla non-inclusione della Svizzera e degli Stati Uniti, considerati paradisi fiscali «troppo grandi» per essere inclusi.

Motivo per cui alcuni Paesi europei – veri e propri paradisi fiscali come la Repubblica Irlandese (che ospita gli headquarter europei del gigante informatico Google) o Lussemburgo (vi dice qualcosa Amazon?), sono assenti dalla lista. Per il momento inoltre l’Ue deve ancora definire esattamente quali sanzioni applicare ai paradisi fiscali recidivi.

In realtà la lista non è soltanto una, ce ne sono due. La blacklist riguarda soltanto i Paesi che hanno fallito l’esame dell’Ue su tre criteri – trasparenza, tassazione equa, e misure che non permettono lo sfruttamento di scappatoie fiscali (le cosiddette misure anti-BEPS) – e che si ostinano a non cooperare, ovvero che si rifiutano di implementare le necessarie riforme.

La seconda lista – detta greylist o lista grigia – riguarda i Paesi che pur avendo fallito l’esame dell’Ue, si sono impegnati a farlo. Fino ad oggi l’Unione europea è riuscita a spingere alcuni Paesi (circa 40) a mettere in pratica cambiamenti sostanziali, ma sono diversi i Paesi in cui questo non sta avvenendo. In più la blacklist si è accorciata notevolmente, dai 17 Paesi iniziali ai 5 attuali.

Le previsioni del rapporto Oxfam

  • Clima e disuguaglianze, il rapporto Oxfam: «L’1% più ricco della popolazione emette la stessa CO2 di 5 miliardi di persone»
  • 23 Paesi saranno rimossi dalla greylist: tra questi le Bahamas, Bermuda, Isole Cayman, Isole Vergini Britanniche, Costa Rica, Groenlandia, Guernsey, Hong Kong, Isola di Man, Jamaica, Jersey, Repubblica Coreana, Liechtenstein, Macao, Macedonia del Nord, Panama, Qatar, Taiwan, Tunisia e Uruguay.
  • 3 nuovi Paesi verranno aggiunti alla greylist: Australia, Canada e Sud Africa.
  • 29 Paesi attualmente sulla greylist ci rimarranno: tra cui Albania, Armenia, Barbados, Belize, Bosnia ed Erzegovina, Giordania, Malesia, Maldive, Montenegro, Marocco, Namibia, Serbia, Seychelles, Svizzera, Thailandia e Vietnam.
  • 5 Paesi rimarranno sulla blacklist: Samoa Americane, Guam, Samoa, Isole Vergini Americane, Trinidad e Tobago.
  • 18 Paesi passeranno dalla grey list alla blacklist: tra cui Bahrain, Marocco, Oman, Turchia e gli Emirati Arabi Uniti.