L’onda colorata del Pride di Varese sfila nello storico feudo leghista

L’amministrazione provinciale, leghista, aveva recentemente bocciato una proposta contro le discriminazioni. Oggi la città è in mano a un sindaco Pd e in piazza c’erano oltre mille persone

Il Pride di Varese non è come quello di qualsiasi altra città. E non è soltanto perché è alla quarta edizione, quindi relativamente recente. Ma perché Varese è uno storico feudo leghista dove dal 2016 c’è un sindaco Pd. Non succedeva dal 1993. Alle recenti elezioni europee, nel Varesotto, la Lega ha comunque ottenuto il 45% dei voti. Recentemente l’amministrazione provinciale leghista ha anche bocciato una proposta contro le discriminazioni.

Come spiega il presidente di Arcigay Varese Giovanni Boschini, nella prima edizione, quattro anni fa, l’amministrazione leghista aveva fatto diversi sgambetti agli organizzatori: non era stato concesso loro il palco, non erano stati dati i volantini, e non era stato confermato il percorso fino all’ultimo giorno. Oggi (15 giugno), invece, tutto è filato liscio. Davanti al palazzo del Comune un’ora prima della partenza della manifestazione c’erano circa duecento persone. Un’ora dopo erano più di mille. Molti giovani, alcuni giovanissimi, mamme con figli, coppie eterosessuali e omosessuali, qualche persona in drag, pochi rappresentanti delle istituzioni: mancava il sindaco Davide Galimberti, neanche un accenno all’evento sulla sua pagina Facebook, come assenti erano i partiti in generale (presente però l’assessore alle politiche sociali Rossella Dimaggio). Le uniche bandiere visibili oltre a quelle arcobaleno, era quella di Possibile, il Partito di Giuseppe Civati, e di Potere al Popolo.

Ma la politica non è lontana. Per il presidente di Arcigay Varese Giovanni Boschini, è importante lanciare un messaggio non solo ai concittadini ma alla politica tutta viste «le restrizioni degli spazi di libertà». Quali? «Faccio riferimento agli interventi della Digos, ma anche al sostegno di membri di questo governo al Congresso mondiale per le famiglie di Verona». E il sindaco Pd? «Oggi non c’è, ma abbiamo il suo sostegno, come anche quello dell’università dell’Insubria». Se tra i passanti c’è chi osserva sorridendo – o benedicendo la processione dal balcone di casa – in città c’è anche chi si lamenta degli “eccessi” di alcuni suoi protagonisti, giudicati troppo esagerati nelle acconciature e nell’abbigliamento, e chi si lamenta di non aver potuto portare i nipoti a passeggio, per non esporli al Pride. Non mancano i commenti omofobi nei bar o nelle vie del centro, dove la vita continua a scorrere tranquillamente.

C’è poi chi si lamenta del presunto danno economico che il Pride causa alla città di Varese dove, da quando c’è la manifestazione, «le strade si svuotano e la gente non viene a fare le compere», anche se altri commercianti del centro minimizzano: «Se non verranno oggi, verranno un altro giorno, non mi sembra così grave». Come ricorda Boschini, «non possiamo imporre un codice di abbigliamento, non ci permetteremmo mai di chiederlo, deve rimanere aperto a tutti e il più inclusivo possibile». Per qualche passante la festosità è sintomo di superficialità o di spensieratezza o – come sostengono alcuni cittadini più critici («Le coppie eterosessuali non manifestano per strada») – una forma di semplice ostentazione. Ma i casi di discriminazione e di violenza subiti dalla comunità Lgbtq+ sono all’ordine del giorno, da cui scaturisce l’esigenza del Pride. «Soltanto la settimana scorsa ho accompagnato due persone in ospedale – racconta sempre Boschini -. Varese deve ancora fare i conti con le diversità. Ma alla fine non è così diversa da tante altre realtà italiane».

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