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Un cancro, 15 anni e un elenco di missioni spaziali di completare. Cosa riesce a fare un videogioco

06 Luglio 2019 - 07:55 Redazione
La community di Elite: Dangerous si è raccolta intorno al ragazzo per fargli vivere un’avventura spaziale durante i giorni trascorsi in ospedale

Il 15enne Michael Holyland ha vissuto gli ultimi 6 anni della sua vita tra la propria casa e l’ospedale di Addenbrooke a Cambridge, coembattendo contro un cancro incurabile che non gli ha dato scampo.

Nei giorni di degenza Michael è riuscito a trovare un po’ di sollievo dalla malattia grazie al videogioco Elite: Dangerous un simulatore di viaggi spaziali sviluppato da Frontier Developments.

Quando le condizioni di salute del giovane sono peggiorate però lo zio di Michael, Mathew James Westhorpe, ha pubblicato su Twitter le foto del ragazzo mentre giocava al videogioco nella sua stanza di ospedale, scrivendo: «Guardate mio nipote mentre socchiude gli occhi tentando di raggiungere i suoi obiettivi a Elite: Dangerous, mi spezza il cuore, soprattutto perché probabilmente non riuscirà mai a portarli a termine». 

Diffusasi la storia, la community di Elite: Dangerous si è immediatamente messa in moto per aiutare il ragazzo a raggiungere gli obiettivi del gioco in modo più rapido, avviando una serie di iniziative per supportare moralmente Michael nel suo viaggio e nel suo gioco. Gli sviluppatori di Frontier Development, parallelamente, hanno fatto visita al giovane in ospedale, portandogli dei gadget del gioco.

Nel momento in cui le condizioni di Michael sono peggiorate la community si è mossa ulteriormente, creando una sceneggiatura con protagonista il comandante Michael  Holylande colma di riferimenti alla sua lotta contro il cancro. Gli sceneggiatori, in un solo giorno, hanno creato l’intera storia e l’hanno fatta ascoltare a Michael che – 24 ore prima di morire – ha mostrato grande entusiasmo.

Una storia che insegna come le community online possano unire e non dividere, essere luogo di scambio e non di conflitto. Una storia che fa capire che non si tratta solo di semplici videogiochi ma di strumenti che uniscono persone, intrecciando, anche per pochi istanti e a chilometri e chilometri di distanza, storie e vite diverse. Un mezzo per dimostrare generosità e unione, anche quando il male sembra voler rendere buie le vite delle persone. 

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