Salvini: «Quel missile serviva a uccidermi». Ma la Procura: «Nessun riscontro»

L’inchiesta sulle armi da guerra sarebbe partita da una delle minacce di morte contro il vicepremier leghista

Dopo 24 ore di silenzio, Matteo Salvini si è pronunciato sul caso del sequestro dell’arsenale da guerra individuato dalla Digos di Torino, a margine di un’operazione di antiterrorismo che ha coinvolto i nuclei antiterrorismo di Milano, Varese, Pavia, Novara e Forlì. «L’ho segnalata io – afferma il ministro dell’Interno, a margine della visita a Genova – Era una delle tante minacce di morte che mi arrivano ogni giorno». Il vicepremier, a margine di una visita a Genova per consegnare i beni confiscati alla mafia, ha poi spiegato: «I servizi segreti parlavano di un gruppo ucraino che attentava alla mia vita. Sono contento sia servito a scoprire l’arsenale di qualche demente». Le indagini sarebbero partite però dalla segnalazione di un ex agente del Kbg che, secondo quanto riferito dalla procura di Torino, che ha indagato con la Digos, ha indicato l’esistenza di un progetto di attentato a Salvini.


Da quanto viene riferito in procura, però, non sono mai stati trovati riscontri su quanto riferito dall’ex agente. Invece il monitoraggio di 5 italiani, ex miliziani considerati vicini al Battaglione Azov, portò alla scoperta del tentativo di vendita di un missile aria-aria Matra. Gli uomini della Digos, durante l’operazione del 15 luglio, si sono trovati davanti a un vero e proprio arsenale da guerra di provenienza austriaca, tedesca e statunitense: fucili, mitra, munizioni e addirittura il missile terra aria ‘Matra’, trovato in un hangar di Rinvezzano Terme, in provincia di Pavia. L’operazione ha portato all’arresto di tre persone, tra cui il militante di Forza Nuova ed ex ispettore doganale specializzato in antifrode Fabio Del Bergiolo, e di Alessandro Michele Monti e Fabio Amalio Bernardi, intestatari dell’hangar in cui è stato trovato il missile. 


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