La luce di Mario Cerciello e le zone d’ombra che vanno ancora illuminate

I due presunti assassini sono in carcere in isolamento. Ma se il caso sembra chiuso, restano tanti interrogativi aperti sul ruolo del pusher e sul modo in cui è stata gestita l’operazione

Premessa doverosa e indispensabile: il vice brigadiere Cerciello Rega era un uomo d’oro, davvero. Basta leggere i racconti di tutti coloro che l’hanno conosciuto, le azioni nobili che ha compiuto dentro e al di fuori dell’adempimento del suo ruolo, gli atti di generosità. E se volete anche quello sguardo buono che ci resta in tutte le fotografie che lo ritraggono.


Ma in questa vicenda c’è anche dell’altro, perché molte zone d’ombra non sono ancora state illuminate. E quella missione finita così male va ancora spiegata in molti suoi aspetti.


Se davvero i due ragazzi americani hanno rubato il borsello con (forse) droga e certamente lo smartphone del pusher, perché quest’ultimo si è rivolto ai carabinieri? E davvero ha chiamato il 112? Esiste la registrazione della sua chiamata? E i carabinieri della Stazione Farnese conoscevano quest’uomo, Brugianelli? Sapevano cosa faceva? Questo pusher spacciava nel loro territorio di competenza: forse era anche un informatore?

E poi: chi ha deciso la missione? E perché i due carabinieri sono stati mandati all’appuntamento con due cittadini stranieri in borghese e disarmati? Dove erano le due pattuglie che per questo tipo di missione dovevano affiancare Cerciello e l’altro milite? Perché nessuno dopo l’accoltellamento ha inseguito i due in fuga dal luogo del delitto all’albergo (a soli 180 metri di distanza dal luohi del delitto? E perché il brigadiere che era a fianco di Cerciello ha parlato di individui nordafricani, contro ogni evidenza raggiunta oggi?

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