Nove mesi senza Silvia Romano. Al via il processo in Kenya: i misteri dietro i mandanti

Parte il processo a carico di Ibrahim Adan Omar, uno dei tre arrestati dalla polizia keniana e membro del commando – 8 persone, secondo gli inquirenti – che avrebbe messo in atto il sequestro della giovane volontaria

Era il 20 novembre 2018 quando Silvia Romano è stata rapita da uomini armati a Chakama, villaggio del Kenya a 80 chilometri da Malindi dove era impegnata in un programma di aiuto alla popolazione locale. Di lei non si sa più nulla. Le autorità competenti italiane continuano a ribadire che il silenzio di questi mesi non deve ingannare, non deve far pensare che nulla si muova, e assicurano che le attività di ricerca e di indagine continuano. Di certo, secondo le indagini, fino al giorno di Natale, la cooperante rapita in Kenya il 20 novembre scorso, era viva. La notizia è emersa un mese fa, in occasione di un vertice avvenuto a Roma tra le autorità giudiziarie italiane e kenyote.


Il processo

Un’immagine del villaggio di Chakama, in Kenya, dove è stata rapita Silvia Romano, 27 novembre 2018. Ansa/Claudio Accogli

Inizialmente previsto per inizio settimana, è stato rimandato a mercoledì 21 agosto l’inizio anche un nuovo processo a Malindi per il rapimento e la scomparsa della cooperante della Onlus Africa Milele. Dopo la prima udienza a carico di due dei presunti autori del sequestro, Moses Luwali Chenbe e Abdulla Gababa Wari, parte anche il processo a carico di Ibrahim Adan Omar, uno dei tre arrestati dalla polizia keniana e membro del commando – 8 persone, secondo gli inquirenti – che avrebbe messo in atto il sequestro della giovane volontaria italiana. L’uomo, al momento dell’arresto, è stato trovato in possesso di un fucile mitragliatore Ak 47 e, scrive lAgi, di numerose munizioni ed è ora accusato di essere l’organizzatore del commando e di avere reclutato i componenti della banda armata.


Secondo quanto si legge sul MalindiKenya.net, la giudice Julie Oseko ha deciso di spostare a domani l’udienza per farla coincidere con quella già fissata del processo, già aperto il 30 luglio scorso, a carico di Abdullah Gababa Wario e Moses Luwali Chembe, con l’obiettivo di accorpare i due procedimenti. I due cittadini kenioti fanno parte di una gang di otto persone che la sera del 20 novembre hanno attaccato il villaggio di Chakama, sparando all’impazzata con fucili Ak47, ferendo alcune persone, per poi rapire la volontaria della Ong italiana Africa Milele e darsi alla fuga.

I due, arrestati lo scorso 26 dicembre, hanno ammesso le loro responsabilità ed hanno detto agli inquirenti che almeno fino allo scorso Natale Silvia Romano, era viva. Subito dopo però è stata ceduta a un altro gruppo di sequestratori e da quel momento non si sa più nulla di lei. Del gruppo dei sequestratori – che si ritiene essere criminali locali che avevano seguito la giovane italiana per alcuni giorni prima del rapimento – rimangono ancora 5 ricercati, mentre Ibrahim Adan Omar, cittadino somalo di 35 anni trovato in possesso delle armi usate nel sequestro, ha ammesso le sue responsabilità.

L’obiettivo ora è quello di arrivare ai mandanti del rapimento, giacché Ibrahim Adan Omar – come già Moses Luwali Chenbe e Abdulla Gababa Wari – sembra essere un mero esecutore materiale. Il 2 agosto scorso, nel processo già avviato contro i due rapitori, ha testimoniato il commerciante che ha venduto due motociclette poi usate dal commando per il rapimento e poi ritrovate dalla polizia abbandonate nella foresta. L’uomo ha detto che Luwali era presente al momento dell’acquisto, che è stato compiuto però da Said Adan Abdi, uno degli altri ricercati sulla cui testa la polizia ha messo una taglia di un milione di scellini kenito, circa 8,700 euro

Lettera all’Aise

Le campagne per tenere alta l’attenzione sul caso della 23enne non mancano, nonostante il silenzio di autorità e politica. In questi giorni Nino Sergi, presidente onorario e fondatore di Intersos, organizzazione umanitaria che opera nei contesti di crisi, ha inviato una lettera aperta al generale Luciano Carta, responsabile dell’Aise, il servizio di intelligence estero. Ne parla l’Agi.

«Sono passati ormai 9 mesi e di Silvia Romano non abbiamo alcuna certezza», scrive Sergi. «Siamo convinti che lo Stato, e in particolare l’Agenzia da lei diretta e l’unità di crisi della Farnesina, stiate facendo il possibile per la sua ricerca e liberazione, così come per altre persone italiane rapite nel mondo, nella riservatezza che deve in ogni caso essere mantenuta».

Per questo Sergi chiede al generale Carta di «rafforzare ulteriormente l’impegno della sua Agenzia affinché siano accelerate, per quanto possibile e in sicurezza, le azioni che riteniamo stiate mettendo a punto per la sua liberazione». Anche «per fermare scomposte dicerie e iniziative di disturbo che potrebbero ulteriormente complicare la situazione. Siamo infatti preoccupati dei rischi che possono aumentare con il passare dei giorni». In tanti «stiamo aspettando il ritorno di Silvia Romano», conclude il presidente di Intersos. «Aiutateci a riaverla presto, il prima possibile».

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