L’Amazzonia bruciava anche prima, allora perché ne stiamo parlando solo oggi? – L’intervista

La stampa internazionale ingigantisce gli incendi in Amazzonia per complottare contro Bolsonaro?

Da qualche giorno la questione degli incendi in Amazzonia, e la confusione che viene spesso fatta in rete interpretando i dati che ci giungono dalla Nasa, è diventata terreno di scontro tra estremismi opposti. C’è chi dà la colpa al capitalismo, chi nega che ci siano focolai significativi rispetto al resto del Sudamerica.


Dal momento che anche in passato si sono registrati gravi incendi dolosi nella macro-regione amazzonica c’è anche chi difende il presidente Jair Bolsonaro, facendo notare come durante le amministrazioni passate nessuno sembrava essersi accorto di quel che succedeva nella foresta pluviale.


La difficoltà nel fare chiarezza di fronte a tutte queste obiezioni si deve anche al fatto che è difficile avere una visione obiettiva, anche da parte di chi vive in Brasile, dove il problema delle fake news e della disinformazione viene riconosciuto e affrontato tanto quanto da noi in Europa.

Il debunker Marco Faustino del sito di fact checking brasiliano e-farsas.com, spiega a Open cosa succede oggi in Amazzonia, al di là dei pregiudizi ideologici. Faustino ha alle sue spalle 17 anni di lotta alla disinformazione in rete, concentrandosi particolarmente alle cause sociali, politiche ed economiche. Sa benissimo che il problema degli incendi dolosi nella foresta pluviale non è una novità.

Non esiste un unico nemico

«Il Brasile ha sempre avuto un problema con gli incendi – prosegue Faustino – in quanto è il modo più pratico per gestire il pascolo. Il clima sempre più secco, specialmente durante l’inverno (emisfero Sud), peggiora questa situazione. Per non parlare della mania della gente di bruciare la spazzatura». Eppure sembra che ci siamo accorti dell’esistenza di questi incendi solo oggi, sotto l’amministrazione Bolsonaro.

«Sfortunatamente a nessuno importava molto parlare degli incendi in passato – conferma il debunker – La popolazione e il Governo hanno sempre avuto altre preoccupazioni per ragioni molto diverse. Non ricordo nessun programma federale progettato per combattere questi incendi. Non ci sono mai stati investimenti in questo settore. 

Tutti i governi, senza eccezione, hanno trascurato questa situazione. Il governo di Bolsonaro è un po’ più controverso, perché non sembra apprezzare l’ambiente. I politici sono sempre più eletti nei seggi rurali, quindi quando qualcosa va storto la strategia è incolpare gli altri. Il 22 agosto, dopo la brutta ripercussione del Brasile sulla stampa internazionale, il Governo ha deciso di installare un gabinetto di crisi per adottare misure per combattere gli incendi. 

Ora a quanto pare l’esercito (che è considerato affidabile dalla popolazione e ha una grande influenza sul Governo) cercherà di controllare la situazione. Forse i fondi provengono dalle multe da miliardi di dollari ottenute attraverso l’Operazione Car Wash (“Operação Lava-Jato” in portoghese), ma questo non è ancora accertato. Si attende una dichiarazione ufficiale in TV».

Sono accaduti in precedenza alcuni fatti che hanno destato ulteriore preoccupazione. Oltre al licenziamento di Ricardo Galvão con accuse reciproche tra lui e Bolsonaro di scarsa onestà nel parlare degli incendi in Amazzonia, ci sono anche le accuse del Presidente contro le Ong, incolpate di essere colluse. «Finora, non c’è nulla che confermi questa narrazione – ribatte Faustino, a proposito delle Ong – Inoltre, il Presidente e nessun altro nella sua squadra hanno fornito alcuna prova di ciò.

L’esonero di Galvão è stato sintomatico e accomunabile ai regimi dittatoriali. Non viviamo in una dittatura, è importante chiarirlo, ma la pratica è abbastanza simile.

Il Presidente sembra essere guidato da un pregiudizio in cui l’ambientalismo è visto come un atto terroristico. Nessuna risorsa rinnovabile o sostenibile sembra essere presa in considerazione. Oltre a ciò, ci sono interessi finanziari e l’estrazione di risorse minerarie».

In una intervista precedente abbiamo approfondito la questione dal punto di vista dei nativi che abitano la foresta pluviale: gli Indios. Anche loro però potrebbero aver giocato un ruolo, sono esseri umani come tutti gli altri. Forse anche l’idea del nativo che vive nudo con una lancia in mano è un po’ obsoleta.

«Tranne le tribù molto isolate o quelle rivierasche, dimentica i libri di scuola. Molte popolazioni indigene in Brasile, purtroppo, sono colluse coi minatori e i disboscatori illegali. Per esempio, molte tribù o villaggi hanno generatori concessi da tali persone. A volte nelle interviste in Tv puoi vedere molti indigeni con cellulari, smartwatch e persino laptop. 

Su alcune strade gli indigeni si armano di pietre e bastoni e caricano illegalmente i pedaggi dei conducenti. Una situazione bizzarra e impensabile. Certo, ci sono tribù o villaggi che hanno bisogno d’aiuto, ma si sta facendo molto lavoro per fornire loro supporto. Molto lavoro volontario e tanta dedizione da parte di uomini e donne che non hanno bisogno del Governo per fare del bene agli altri». 

Forse generatori elettrici e altri tipi di servizi dovrebbero essere forniti dallo Stato, così da evitare che molti di loro siano costretti a barattare la loro stessa terra, in cambio di un supporto che dovrebbe essere previsto dalle istituzioni. A livello governativo non esistono iniziative per proteggere i nativi? 

«Da quanto ho capito – prosegue Faustino – l’unico ente governativo esistente a prendersi cura della situazione indigena si chiama “Funai“, e non ha mai funzionato come dovrebbe teoricamente funzionare. Quindi ciò che rimane sono le Ong». 

Fuori dal Brasile intanto c’è chi pensa – come il presidente francese – che ci debba essere una reazione internazionale per far fronte alle presunte mancanze di Brasilia nella gestione degli incendi. Bolsonaro ha liquidato queste esternazioni come “colonialismo”.

«Sì, l’ho letto ed ero scioccato – ribatte Faustino – Il Brasile ha i suoi problemi, così come innumerevoli altri paesi, ma abbiamo la nostra sovranità e viviamo in una democrazia. Abbiamo un popolo che scende in piazza per protestare, un popolo che sa come organizzarsi e fare le proprie rivendicazioni. 

Un popolo che sta imparando a parlare di politica. Le persone a cui una volta non importava nulla ora parlano di politica agli angoli delle strade. Quindi abbiamo la forza e la capacità di affrontare questi problemi».

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