Esclusivo – Il no di oggi del M5s a Zingaretti segna la sorte del governo, e lo scisma di Renzi

di OPEN

La distanza tra dem e grillini sul fronte delle alleanze alle Regioni spiana la strada alla spaccatura tra renziani e il resto del partito

La giornata di oggi può essere importante per raccontare, un giorno, la storia di questa fase politica. Nicola Zingaretti ha subito fatto sua la proposta di Dario Franceschini, primo teorico della formula di alleanza che si è concretizzata nel Conte Due, e capo della delegazione Pd nel neonato governo.


«Se lavoreremo bene – ha scandito il ministro dei beni culturali a la Repubblica – potremo presentarci insieme già alle regionali. È difficile, ma dobbiamo provarci. Per battere questa destra, ne vale la pena». Non un accordo tattico, ma un’alleanza politica e elettorale «che parta dalle prossime elezioni, passi per le comunali e arrivi alle politiche».


«Idea corretta» ha detto subito Zingaretti: «per aprire una nuova stagione questo può essere un capitolo importante». Una bomba insomma: l’accordo strategico, sul tipo di quello del centrodestra per le regioni, ma in prospettiva anche alle elezioni politiche. Un ordigno che però è stato bruscamente disinnescato nel giro di un’ora esatta tramite il solito comunicato di “fonti del M5s”, dal tono perentorio.

«Il tema delle alleanze alle regionali non è all’ordine del giorno. Dunque non c’è in ballo alcuna possibile alleanza con il Pd in vista delle prossime elezioni regionali. Le priorità per il MoVimento 5 Stelle sono altre, ci sono temi importanti da affrontare e provvedimenti da realizzare in tempi celeri a favore dei cittadini. Una cosa è certa: le dinamiche interne tra forze politiche non interessano agli italiani e non servono a far crescere il Paese. Rimaniamo concentrati sulle cose concrete come il taglio dei parlamentari e l’abbassamento delle tasse».

Uno stop netto, sia pure nell’estate col più alto tasso di voltafaccia della storia politica italiana. I 5 stelle non vogliono alcuna alleanza sul territorio col Pd, né alla regionali in Emilia né dopo. Ma questo può portare (stando a quel che Open apprende) a nuove scelte, e per questo diventano decisive le due ultime domeniche di ottobre. Il 20 Matteo Renzi chiude la sua Leopolda numero 10, e sette giorni dopo l’altro Matteo, Salvini, conquista anche l’Umbria alle regionali.

Il primo, ormai è certo, lancerà i suoi gruppi parlamentari. Il venir meno di ogni illusione di alleanza elettorale con il M5s spalanca il campo allo “scisma”: le mani libere dei grillini liberano anche quelle dei renziani. Il ritorno, che nel frattempo sarà già stato annunciato, a un sistema totalmente proporzionale, è l’altro elemento che permette a Matteo Renzi di fare la sua lista senza rimorsi verso il Partito che ha guidato fino a un anno fa.

Chi lo conosce scommette sul fatto che al popolo della Leopolda mostrerà un video: quello girato domenica scorsa da Ravenna Web alla conclusione della festa nazionale dell’Unità, con Zingaretti accolto nel tendone al canto di Bandiera Rossa. «Stanno tornando insieme tutti gli ex comunisti – è l’idea di Renzi – e il Pd riprenderà quella S che aveva prima, ai tempi di Occhetto e D’Alema. È tempo di fare da soli, e col proporzionale abbiamo un sacco di possibilità. Ne ebbe Craxi tra Dc e Berlinguer, figuriamoci noi tra 5 stelle e Zingaretti».

Tanto più che senza alleanze tra le due forze di governo il destino elettorale delle regioni in cui si sta per votare sembra segnato. Salvini è sicuro di vincere in Umbria, e può conquistare anche l’Emilia. Non a caso ha mandato Lucia Borgonzoni, la sua candidata alla guida della Regione, a fare quello show a favore di tv e fotografi martedì al Senato su Bibbiano.

Sa che se fa il colpo nell’Emilia rossa il giorno dopo può cominciare a bombardare la legislatura con ben altre armi. Pd e M5s a quel punto non si arrenderanno di certo, ma considereranno la necessità di un governo più forte, nella squadra e nel sostegno parlamentare. È a quel crocevia che li aspettano Renzi e, c’è da crederlo, anche una scialuppa di ex parlamentari di Forza Italia decisi a non morire sovranisti (e a non tornare a casa anzitempo)

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