Migranti, la missione Sophia per altri 6 mesi: in cosa consiste il piano Ue contro i trafficanti e perché rischia di funzionare (ancora) poco

di OPEN

Il cambio di rotta di Conte nei confronti della missione è, seppur simbolico, un segnale di rottura con il precedente governo

L’operazione europea Sophia per il pattugliamento dei mari contro gli scafisti è stata prorogata di altri sei mesi. A deciderlo sono stati gli ambasciatori del Comitato politico e di sicurezza dell’Ue(Cops), che non hanno però reinserito i mezzi navali all’interno delle missioni. L’operazione era già stata prorogata a fine marzo, con durata fino al 30 settembre.


In visita a Bruxelles l’11 settembre, il presidente del consiglio Giuseppe Conte aveva lasciato intendere che, in presenza di un accordo europeo su sbarchi e redistribuzione dei migranti, Sophia sarebbe potuta essere riattivata.


«L’operazione Sophia non era stata completamente accantonata, ma non era stata valorizzata», aveva detto a termine di un incontro con Ursula von der Leyen e Donald Tusk, facendo riferimento alle sospensioni messe in atto da Matteo Salvini durante il suo ruolo da ministro dell’Interno.

Il 12 luglio 2018, quando il governo gialloverde era nel suo primo mese di vita, il premier Conte aveva preso parte alla riunione del Cops annunciando che l’Italia non intendeva «più applicare le regole in corso sugli sbarchi per gli asset di Sophia». Il cambiamento di rotta, dunque, sembrerebbe segnare una svolta politica sull’immigrazione. Almeno dal punto di vista simbolico.

Che cos’è la missione Sophia

Il nome ufficiale della missione è European Union Naval Force in the South Central Mediterranean (Eunavfor Med). Il nome Sophia è stato dato in onore di bambina somala nata il 24 agosto 2015 sulla nave tedesca Schleswig-Holstein, parte dell’operazione.

Si tratta un’operazione militare di sicurezza marittima europea che opera nel Mediterraneo centrale. Il compito di pattugliamento non è affiancato formalmente al salvataggio e al trasporto dei naufraghi: l’obbligo del soccorso è sancito piuttosto dal diritto internazionale.

Nata nel 2015, anno cruciale per la crisi migratoria, vi hanno aderito 26 Stati su 28 (tutti tranne Slovacchia e Danimarca). Al momento, il comando dell’operazione è affidato all’Italia, che però ha allentato la presa durante il mandato di Salvini al Viminale. Pur essendo formalmente ancora in vita, questa operazione è nei fatti morta dopo che l’ex ministro dell’Interno ha imposto la sua linea dura sui migranti.

Come chiarito dal Ministero della Difesa, il mandato principale dell’operazione è quello di adottare misure sistematiche per individuare, fermare e mettere fuori uso le imbarcazioni e i mezzi usati o sospettati di essere usati dai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo Centrale.

Grafico del Ministero della Difesa

A questo mandato principale, nel corso degli anni, si sono poi affiancati altri diversi compiti. A giugno 2016 la Commissione europea ha stabilito che l’operazione Sophia si occupasse anche dell’addestramento della Guardia Costiera e della Marina libica e contribuisse all’embargo delle armi da e per la Libia. A luglio 2017 il Consiglio Europeo ha aggiunto altri tre compiti integrativi:

  • istituire un meccanismo di controllo del personale in formazione per assicurare l’efficienza a lungo termine della formazione della Guardia Costiera e della Marina libica;
  • svolgere nuove attività di sorveglianza e raccogliere informazioni sul traffico illecito delle esportazioni di petrolio dalla Libia;
  • migliorare le possibilità per lo scambio di informazioni sulla tratta di esseri umani con le agenzie di polizia degli Stati membri, Frontex ed Europol.

Perché non ha portato i risultati sperati

Finché il flusso è stato molto consistente, le navi militari erano obbligate dal diritto internazionale a salvare e portare in Italia i migranti. Quando il flusso si è ridotto drasticamente, le navi hanno iniziato a portare in Italia un numero sempre minore di persone. Ma sbarcare i migranti in Italia non era in principio lo scopo della loro missione: al massimo, si trattava di una conseguenza inevitabile che derivante dalle circostanze di salvataggio.

La quantità di migranti che arrivavano in Italia dipendeva più che altro dal numero di partenze dalla Libia – poi ridotto grazie agli accordi siglati da Minniti nell’estate del 2017 – che non dalla presenza delle navi dell’operazione Sophia.

Con l’eliminazione delle navi, poi, il ruolo delle Marine militari nella risoluzione del problema si è ulteriormente assottigliato. Dopo la proroga del il 31 marzo 2019 per altri sei mesi, l’operazione è stata fortemente snaturata: senza l’apporto di unità navali è diventato impossibile il salvataggio dei migranti in mare.

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