Incendio in un laboratorio russo che ospita i virus di ebola e di vaiolo, ma niente panico – L’intervista

Perché difficilmente può esserci un incendio in laboratori che ospitano virus, provocando epidemie

Secondo un recente tweet di Science Alert internet sarebbe nel panico, ma non c’entrano gli hacker malevoli o i down di Facebook, bensì per le informazioni riguardo a quel che sembrerebbe essere l’ultimo disastro avvenuto in Russia. Dopo l’enigma dell’incidente nucleare a Severodvinsk e la diffusione di documenti de-secretati sulla gestione criminosa della fuga di radiazioni a Chernobyl da parte dell’Unione sovietica, la Russia sembra voler conservare il “trend della paura”. Cominciano infatti a trapelare nuove Informazioni riguardo a un presunto disastro a Koltsovo, nella zona di Novosibirsk in Siberia. Parliamo di un incendio provocato da un’esplosione di gas, proveniente da un laboratorio dove sono conservati pericolosi virus, come quelli del vaiolo e di ebola.


Cosa è successo in Russia

Il laboratorio appartiene al Centro di ricerca statale di virologia e biotecnologia (Vector) di Koltsovo. I virus sono quel che rimane dei programmi di ricerca sulla guerra batteriologica del periodo Sovietico. Il Vector oggi è invece uno dei principali centri di ricerca sulle malattie infettive del Paese. L’incidente è avvenuto durante alcuni lavori di ristrutturazione nella sala di ispezione sanitaria situata al quinto piano dell’edificio. Stando alle informazioni disponibili nel momento in cui scriviamo, ci sarebbe almeno un ferito: un operaio con ustioni di terzo grado. Secondo le autorità locali non può esserci stata una contaminazione, in quanto nella stanza di 30 metri quadri in cui è scoppiato l’incendio non erano ospitate colture, non ci sarebbe quindi alcun rischio biologico. 

Perché possiamo stare tranquilli

Il professor Andrea Cossarizza vicepresidente di Patto trasversale per la scienza spiega a Open perché non ci sono ragioni per preoccuparci. «Immagino che i colleghi russi non siano matti del tutto – assicura il professore – in qualunque laboratorio al mondo dove si occupano di conservare dei virus ci sono dei sistemi di sicurezza altissimi. Prevedono intanto che tutto nel laboratorio sia anti-incendio. Se io andassi nel mio laboratorio buttando a terra un fiammifero non succederebbe niente. Il gas non viene usato nei laboratori ma altrove, avranno avuto una perdita da qualche altra parte dell’edificio, ma non in laboratorio». 

Effettivamente questo particolare riduce la probabilità che l’incendio sia scoppiato proprio in un laboratorio, quindi in questo caso in una delle stanze in cui vengono conservati i virus. «Potrebbe essere saltato il locale delle caldaie per quanto ne sappiamo – prosegue Cossarizza – Chiariamo poi una cosa: il fatto che in un laboratorio sia conservato un virus come quello del vaiolo, non vuol certo dire che lo si stia usando». «Parliamo di una provetta conservata in azoto liquido a -180°C, dove c’è un campione che contiene il virus del vaiolo. Ma la provetta normalmente sta in un contenitore ospitato in locali ignifughi, dove tutto è a prova di incendio. Inoltre solitamente queste provette le troviamo conservate sotto terra, negli scantinati».

Viene da chiedersi allora in quali casi dovremmo preoccuparci davvero. Insomma, se lei fosse un bioterrorista cosa farebbe per provocare un pericolo sanitario del genere? «Sicuramente in queste zone c’è una sorveglianza armata – spiega il professore – sarebbe difficile semplicemente entrare a prendere le provette senza che nessuno se ne accorga. Dopo di che l’ipotetico bioterrorista dovrebbe fare in modo che i virus non muoiano durante il trasporto, preparare le colture in un suo laboratorio, per poi spruzzarle in giro. Non è proprio una cosa facile». Poi c’è il discorso della trasmissione del virus, che ha bisogno di veicoli. «Un po’ complicata come trasmissione – continua Cossarizza – il contagio avviene mediante saliva, secrezioni naso-faringee, sangue, eccetera, a partire da persone che hanno liquidi corporei infetti. L’incubazione del vaiolo (quella di ebola è più o meno uguale) dura da una a due settimane, dopo di che cominciano a comparire i sintomi. Tutto partirebbe però dal laboratorio, preparando cellule infettate».

Non sarebbe meglio evitare di conservare virus del genere? «Continuiamo a conservare virus come quello del vaiolo – spiega il professore – perché grazie al sequenziamento del Dna siamo riusciti a sviluppare un vaccino molto più efficace di quello sviluppato a partire da Edward Jenner nel 1798, con cui siamo stati vaccinati noi anziani (tutti i nati prima del 1981)». E se succedesse in Italia? «Possiamo stare tranquilli – assicura Cossarizza – abbiamo presso l’Istituto superiore di Sanità cinque milioni di dosi di vaccino (da cui in caso di pericolo possiamo ricavare 25 milioni di dosi), quindi qualunque cosa accada saremmo in grado di vaccinare subito 25 milioni di italiani, e poco dopo il resto della popolazione».

Foto di copertina: Science Alert/L’edificio della Vector a Koltsovo in Siberia.

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