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Brexit, Corte Suprema dichiara illegale lo stop del Parlamento. Johnson: «La cosa ovvia è indire nuove elezioni»

24 Settembre 2019 - 16:05 Redazione
Ennesimo schiaffo a Boris Johnson: non aveva il diritto di sospendere il Parlamento

Dopo che la Corte Suprema del Regno Unito ha dichiarato oggi illegale la sospensione (Prorogation) del Parlamento voluta da Boris Johnson fino al 14 ottobre, il primo ministro Tory non si guarda indietro: «Ho il massimo rispetto per la sentenza della Corte Suprema ma sono in disaccordo. Quindi vado avanti». Schiaffo quindi al premier inglese e vittoria per i partigiani del Remain, che avevano presentato un ricorso. Il verdetto è stato raggiunto all’unanimità dal collegio degli 11 giudici. «La cosa ovvia da fare è indire elezioni», ha risposto ai giornalisti che a New York gli chiedevano se si fosse scusato con la regina. L’inquilino di Downing Street già le scorse settimane aveva chiesto al Parlamento di approvare il ritorno alle urne ma la sua mozione era stata bocciata entrambe le volte.

Le opposizioni chiedono le dimissioni di Johnson

Partono intanto le prime richieste di dimissioni nei confronti di Boris Johnson da parte delle opposizioni britanniche dopo la pesantissima sentenza della Corte Suprema, mentre s’ipotizza che le Camere possano essere riconvocate già domani. La prima a parlare di dimissioni come «la prima cosa decente» che Johnson dovrebbe fare è stata Joanna Cherry, deputata indipendentista scozzese dell’Snp, in prima fila in uno dei ricorsi presentati contro la sospensione. Secondo Cherry, il verdetto stabilisce che nessuno, neppure un monarca, è al di sopra della legge». Voci in favore delle dimissioni arrivano anche dal Labour, mentre per la leader liberaldemocratica Jo Swinson, «Johnson non è adeguato a fare il primo ministro». Esulta anche Gina Miller, l’attivista pro Remain promotrice di un altro dei ricorsi, secondo cui la sentenza non è politica, ma fa valere la legge e ripristina «lo stato di diritto». Anche il leader dei Labour Jeremy Corbyn ha chiesto le dimissioni del primo ministro Johnson.

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