Cucchi, il pm: I depistaggi hanno condizionato il primo processo e rischiavano di condizionare anche questo – Il video

Per il titolare dell’accusa, in una seconda fase, il depistaggio «viene gestito a livelli più alti e raffinati. Riparte nel 2015 e forse è l’aspetto più doloroso di tutta questa storia»

Nel concludere la requisitoria durante il processo sulla morte di Stefano Cucchi, il pm Giovanni Musarò, ha dedicato un lungo passaggio al depistaggio che ha caratterizzato dieci anni di indagine. Il 30 ottobre del 2009, spiega, «c’è un’inquietante nota a firma del generale Casarsa, all’epoca colonnello, nella quale viene anticipata una relazione medico-legale preliminare relativa all’autopsia che era coperta dal segreto. E venivano in parte anticipate alcune conclusioni medico legali», spiega il pubblico ministero nella sua requisitoria in aula.


Due sono i momenti di depistaggio, nel caso di Stefano Cucchi, secondo Musarò. Il primo inizia, dice nella stazione Appia quando Cucchi, Di Bernardo, D’Alessandro e Tedesco tornano dalla Casilina, quindi subito dopo il pestaggio. «E inizia lì col falso verbale d’arresto», reato su cui la giuria dovrà pronunciarsi. «Finisce subito dopo la morte di Stefano, ma prima che inizi l’eco mediatica. Tutti i depistaggi in questa fase vengono gestiti a livello di stazione Appia».


Poi, per il titolare dell’accusa, in una seconda fase, il depistaggio «viene gestito a livelli più alti e raffinati. Riparte nel 2015 e forse è l’aspetto più doloroso di tutta questa storia».

I depistaggi «del 2009 hanno assunto grande rilevanza, perché hanno condizionato il primo processo e rischiavano di condizionare anche questo», dice ancora Musarò. «La migliore riprova di tale assunto è rappresentata dal fatto che l’acquisizione di alcuni elementi decisivi, sia ai fini di questo processo sia ai fini di quello sui depistaggi del 2015, è stata possibile grazie alla leale collaborazione offerta nel 2018 e nel 2019 proprio dall’Arma dei Carabinieri, in particolare dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Roma, dal Reparto Operativo e dal Nucleo Investigativo, i cui componenti hanno profuso impegno e intelligenza ai fini della esatta ricostruzione dei fatti».

Sul banco degli imputati ci sono cinque carabinieri: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, tutti accusati di omicidio preterintenzionale e abuso d’autorità (Tedesco anche di calunnia nei confronti degli agenti della Penitenziaria assoluti in via definitiva); Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini, tutti accusati di calunnia (Mandolini, anche di falso).

Le cause della morte

Nell’ultima parte della requisitoria, il pm si è molto concentrato sulle cause della morte: la frattura della quarta vertebra sacrale ha causato il blocco della vescica, non una crisi epilettica che non aveva da anni e che comunque non risulta abbia avuto neppure al momento della morte. Dunque, c’è un collegamento diretto tra il pestaggio che avrebbe subito e la sua morte.

I collegamenti tra il pestaggio e la morte

Le evidenze mediche sono tante, insiste il magistrato.

Prima di tutto, il giovane geometra non aveva avuto una crisi epilettica. Quando l’hanno trovato, spiega il pm Musarò, aveva «la mano sotto il cuscino, così come si era addormentato, su un fianco». Una posizione che non può coincidere con una crisi epilettica.

Del resto, al momento del fermo, Stefano Cucchi stava bene, non era né bradicardico, né sottopeso, né con sintomi da tossicodipendenza. Cucchi era uno sportivo, andava a correre tutti i giorni, faceva boxe tre volte a settimana. L’ha raccontato anche l’ex cognato, spiega il pm, «era il suo modo per riprendersi la vita». Era sottopeso, ma solo perché «aveva la necessità di restare nei pesi piuma».

Quando arriva al Pertini, invece, Cucchi sta molto male. Smette di mangiare, soffre molto al punto da sviluppare una bradicardia giunzionale, per la frattura della quarta vertebra.

Il colpo di grazia, diciamo così, è la formazione di un globo vescicale enorme, di 1400 cc. Una ritenzione di cui nessuno in ospedale si è accorto, sebbene Cucchi avesse un catetere che, evidentemente, nessuno ha controllato per vedere se drenasse.

Insomma, conclude il magistrato, Stefano Cucchi è morto per delle concause: ma ogni elemento è collegato al pestaggio.

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