Grenfell Tower, le domande ancora aperte sull’incendio che sconvolse Londra

di OPEN

Nell’incendio sono morti anche due ragazzi italiani. Gloria Trevisa e Marco Gottardi si erano trasferiti a Londra da tre mesi

Londra, quartiere North Kensington. Grenfell Tower, quarto piano. La notte del 14 giugno 2017 da un frigorifero difettoso parte una scintilla. Le fiamme cominciano a diffondersi in tutto l’appartamento. Minuto dopo minuto sbranano tutta la struttura. Si spegneranno solo due giorni dopo, il 16 giugno.


Il grattacielo, uno struttura di 24 piani, è distrutto. Le pareti sono annerite e dentro agli appartamenti rimangono solo le ceneri dei mobili, dei libri e delle vite di chi ci abitava. 72 vittime, fra cui Gloria Trevisan e Marco Gottardi. Meno di 30 anni, una laurea in architettura nella valigia. Erano a Londra solo da tre mesi.


Le domande ancora aperte sul rogo

Dopo oltre un anno dall’incendio, i media britannici hanno anticipato un rapporto su cosa è successo quella notte. Circa mille pagine, che parlano dell’impreparazione della London Fire Brigade, i vigili del fuoco di Londra, e dei problemi strutturali della Grenfell Tower. Una ristrutturazione sbagliata, che ha reso le fiamme ancora più veloci, ancora più difficili da spegnere.

A dirigere i lavori che hanno portato alla relazione è stato Martin Moore-Bick, ex giudice della corte suprema. Questo progetto è stato avviato dall’ex premier britannica Theresa May che dopo l’incendio ha voluto mettere al lavoro una squadra per dare delle risposte alle famiglie delle vittime.

I punti che apre nella sua inchiesta, dopo aver sentito centinaia di testimoni sono fondamentalmente tre:

  • La preparazione dei vigili del fuoco, ritenuta inadeguata per affrontare un’emergenza del genere. In particolare le critiche più grandi si stanno concentrando su un ordine dato in un primo momento agli abitanti della Grenfell Tower: «Stay put», «State in casa»
  • Le chiamate al 999, il numero di emergenza del Regno Unito. Secondo l’inchiesta le prime chiamate sono state sottovalutate dalla centrale operativa. Martin Moore-Bick: «Ho pochi dubbi sul fatto che ci sarebbero state meno vittime se l’ordine di evacuazione fosse stato impartito verso le 2 di notte»
  • L’ultimo punto riguarda i lavori di ristrutturazione della torre. La velocità e la potenza delle fiamme è stata alimentata anche dal polietilene, il materiale utilizza nei restauri che erano stati fatti dalla ditta Arconic

Le torri di Londra raccontate da una studentessa italiana

Balfton Tower, zona est di Londra. Poco più di un chilometro lontano dal Tamigi. Una torre che condivide in parte la storia della Grenfell Tower, senza l’epilogo finale. Eleonora Rugiero è una ragazza italiana. Ha frequentato un master in Politiche Urbane, un corso nato in collaborazione tra la London School of Economics e Sciences Po.

Dopo aver visto la Balfton Tower ha deciso di scrivere su questo edificio la sua tesi di laurea: Balfton Tower: the remaking of a landmark. È qui che ha iniziato a occuparsi di queste torri che puntellano lo skyline della City: «Lavoravo in quel quartiere a un altro progetto. Ho visto la Balfton Tower e mi sono appassionata a tutta la sua storia».

Quando sono nati edifici simili alla Grenfell Tower o alla Balfton Tower?

«Negli anni 50 lo stile architettonico era abbastanza simile a quello di queste torri, soprattutto per gli alloggi pubblici. Il nome di questo stile è brutalismo, andava molto di moda in quel periodo»

Come mai erano così diffuse?

«Innanzitutto è stata un po’ una reazione allo stile architettonico precedente. Lo stile vittoriano che prima veniva usato a Londra era più raffinato, più disegnato. L’immaginario è cambiato con queste torri altissime che assomigliavano a uno scheletro. Ma non solo. L’obiettivo non era più solo creare alloggi ma anche creare delle comunità»

Che problemi hanno queste strutture dal punto di vista della sicurezza?

«I problemi sono legati soprattutto alla manutenzione. Col tempo queste torri si sono trasformate da pubbliche a private, soprattutto grazie alle politiche di Margaret Thatcher basate sul “Right to Buy”. Si dava la possibilità agli inquilini di queste case di comprarle. Col tempo quindi lo Stato si è allontanato, sono subentrate le housing association e la manutenzione, spesso, è venuta meno»

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