Francia, un mese di scioperi. Ma Macron non arretra sulla riforma delle pensioni: ecco cosa prevede

Nel suo discorso di fine anno il presidente francese ha ribadito di voler “portare a termine” la riforma del sistema pensionistico

Il conflitto sociale contro la riforma delle pensioni di Emmanuel Macron entra nella storia: lo sciopero dei trasporti, al 30esimo giorno consecutivo, è il più lungo mai registrato nella storia della SNCF, la compagnia ferroviaria francese.


Battuto quindi il record di quello del 1986-87, durato 28 giorni. Anche in occasione della paralisi dei treni degli anni Ottanta, lo sciopero cominciò nel mese di dicembre e durò per tutte le feste di fine anno, con la SNCF costretta in alcuni casi a ospitare i passeggeri nei vagoni fermi in stazione.


Dopo quasi un mese, ancora oggi circola in Francia un treno ad alta velocità su 2, un Intercity su 4 e 5 regionali su 10. Previsto qualche miglioramento per il rientro dalle vacanze durante il weekend.

La situazione tornerà a essere più tesa la prossima settimana, con la ripresa delle manifestazioni e delle assemblee: «Quando si perde un mese di stipendio non si torna al lavoro solo per i buoni propositi di un presidente disconnesso dalla realtà», ha spiegato alla radio Europe 1 il segretario della CGT Trasporti, Laurent Brun.

Il discorso di Macron

Ma i negoziati restano su un binario morto, soprattutto a fronte del discorso di fine anno del presidente francese Emmanuel Macron che ha ribadito di voler «portare a termine» la riforma delle pensioni. Nel suo discorso alla Nazione, il capo dell’Eliseo, rivolgendosi al primo ministro Édouard Philippe, ha esortato il governo a trovare un «rapido compromesso».

«Capisco come le decisioni prese possano causare timori e proteste», ha detto. «Dovremmo quindi rinunciare a cambiare il nostro Paese? No. Poiché abbandoneremmo quelli che il sistema ha già abbandonato, tradiremmo i nostri figli, i loro figli dopo di loro, che dovrebbero quindi pagare il prezzo per le nostre rinunce. Questo è il motivo per cui verrà attuata la riforma delle pensioni», ha aggiunto.

Il piano di Macron

Le parole non lasciano spazio a interpretazioni: per Macron la riforma delle pensioni si farà. Dopo la bozza di dicembre, la legge verrà presentata ufficialmente in primavera.

Al momento, la nuova riforma prevede l’introduzione nel sistema pensionistico di una gestione unica e un metodo di calcolo uguale per tutti i lavoratori. La Francia ha infatti uno tra i più complessi sistemi di retribuzione pensionistica al mondo con 42 diversi regimi per coprire diverse categorie di lavoratori.

I dipendenti della metropolitana possono andare per esempio in pensione a 55 anni. I dipendenti delle società pubbliche che forniscono gas ed elettricità a 57. Per i ballerini del corpo di ballo nazionale, che iniziano a lavorare molto presto, già a 42 anni.

Ansa/Manifestanti e gilet gialli gettano gettano uno scooter in un rogo appiccato a Parigi, durante lo sciopero generale dei trasporti. 28 dicembre 2019

Ma, se per Macron la nuova riforma servirà a ridurre l’alta disparità che esiste tra le diverse categorie, con un sistema a punti che diminuisca le diseguaglianze esistenti, per molti il sistema li penalizzerà. L’età pensionabile è tra le più basse in Europa, 62 anni, e il primo ministro ha assicurato che l’asticella non si alzerà – tuttavia con qualche eccezione. Chi deciderà di lavorare due anni di più e andare in pensione a 64 anni otterrà una pensione maggiore.

Le riforme, ha affermato il primo ministro, garantirebbero una pensione mensile minima di mille euro per i lavoratori che rimarranno in servizio fino a 62 anni, e che ciò andrebbe a beneficio delle donne.

Philippe ha specificato che la riforma entrerà in vigore a partire dal 2022 e che saranno esclusi i nati prima del 1975, come si era ipotizzato inizialmente.

«È giunto il momento di costruire un sistema pensionistico universale. Stiamo proponendo un nuovo patto intergenerazionale», aveva detto il primo ministro a dicembre, rassicurando i cittadini sulla riforma.

Perchè una nuova riforma?

A novembre, una relazione del Conseil d’orientation des retraites (COR), commissionata da Philippe ha concluso che, se non verrà riformato, l’attuale sistema pensionistico porterà a un deficit di più di 17 miliardi di euro, o il 7% del pil, entro il 2025. Da qui la necessità, secondo Macron, di attuare una riforma più equa e in linea con il cambiare dei tempi.

Il prmo ministro Edouard Philippe a un incontro con l’Unione degli imprenditori nel 14esimo giorno di proteste, 18 dicembre 2019. ANSA

Nell’immediato dopo guerra, quando fu introdotto il sistema, le carriere erano molto più lineari. Mentre ora c’è una continua oscillazione da pubblico a privato, con lavoratori che scelgono di prendersi delle pause tra un lavoro e l’altro, o sono costretti a farlo per mancanza di opportunità, ha spiegato Monika Queisser, responsabile della politica sociale dell’Ocse, a Euronews. I contribuenti continuerebbero quindi a ricevere punti anche durante la disoccupazione e il congedo di maternità.

Nelle sue conclusioni, il rapporto del COR riconosce che «il deficit non è legato all’evoluzione della spesa per le pensioni [pubbliche], che rimangono stabili rispetto al PIL».

Piuttosto, «è il risultato di una diminuzione delle risorse messe a disposizione del sistema pensionistico, che di per sé è in gran parte una conseguenza della diminuzione – in percentuale del PIL – dei contributi provenienti da enti pubblici [come lo Stato]». L’eventuale mancanza di fondi per pagare le pensioni sarebbe data più da un ritiro dello Stato che colpa di una tendenza economica e demografica.

L’attrito con i sindacati

Le proteste dei sindacati nascono dalla convinzione che il passaggio a un sistema pensionistico universale basato su punti eliminerebbe le pensioni più vantaggiose per una serie di lavori che vanno dai marinai agli avvocati e persino ai lavoratori dell’opera.

Mentre Macron non ha suggerito di aumentare immediatamente l’età di pensionamento, coloro che vanno in pensione prima dei 64 anni percepirebbero una pensione inferiore sulla base dei punti guadagnati.

Per esempio, i lavoratori che decidono di andare in pensione a 63 anni potrebbe ricevere il 5% in meno, quindi i sindacati temono che ciò significhi dover lavorare più a lungo per una pensione più bassa.

I lavoratori del settore pubblico che svolgono lavori ardui o pericolosi possono andare in pensione anni prima anche con l’attuale sistema.

Ma i lavoratori della metropolitana, per esempio, sostengono che le riforme li costringerebbero a lavorare più a lungo togliendo così il loro diritto al pensionamento anticipato, negoziato decenni fa per compensare il fatto di dover lavorare lunghe ore sottoterra.

In copertina una manifestazione a Parigi, Francia, 31 dicembre 2019. EPA/Christophe Petit Tesson

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