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#8Marzo: il «carico mentale» delle donne e quel welfare che si poggia sul lavoro di cura non retribuito – I dati

È il giorno dei diritti della donna, per ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche e continuare a combattere contro discriminazioni e violenze. Ma qual è la situazione nel lavoro di cura?

«Take a load off, Fanny», cantavano i The Band nel 1968 nella famosissima «The Weight» (nell’album Music From Big Pink). «Liberati di un carico, Fannie». Oggi, nel giorno della ricorrenza dedicata alle rivendicazioni dei diritti delle donne, parlare del «carico mentale» che riguarda le donne di tutto il mondo è un tema più attuale che mai. Perché è questo il punto di partenza per poter pensare una società che dia a tutti e tutte gli stessi strumenti per vivere la propria vita.

In un momento delicato segnato dall’epidemia da coronavirus e da una presa di coscienza dell’importanza delle pratiche di cura, proprio di questo tipo di lavoro non retribuito bisogna tornare a parlare. A spiegare bene (e facilmente) la questione è un libro di fumetti della disegnatrice francese Emma, da poco uscito in Italia con Laterza, che si intitola «Bastava chiedere». Il testo raccoglie 10 storie quotidiane che raccontano quelle responsabilità, quei pensieri e quei lavori domestici che, anche nelle coppie più “emancipate”, si aggiungono alla vita quotidiana di ogni donna.

Una pagina di «Bastava chiedere», nella versione tradotta da Loona Viederman e Giovanni Anastasia

Fuori dall’arte, il «carico» si traduce in numeri: stando a uno studio pubblicato dall’Usb (Unione Sindacale di Base), dal titolo «I lavori delle donne tra produzione e riproduzione sociale», sono 50,7 miliardi le ore di vita impiegate dalle donne per produrre lavoro non salariato in Italia. Attività che coincidono con le funzioni biologiche di cura (come la gravidanza, il parto, l’allattamento), ma anche con tutte le attività lavorative come «le faccende domestiche, di cura, formazione, educazione, appoggio psichico e fisico, affettivo, relazionale».

A livello di soldi, si parla di un lavoro gratuito dal valore di 395 miliardi. Un dato che non stupirebbe così tanto se si considerassero le ore giornaliere che vengono occupate gratuitamente per creare un vero e proprio stato di welfare (previdenzialmente non riconosciuto): una casalinga dedica al lavoro non retribuito 6 ore e 58 minuti al giorno, mentre una donna occupata gli dedica 4 ore e 8 minuti. La cura dei bambini, poi, assorbe 5,7 miliardi di ore.

Le italiane, insieme alle romene, sono al primo posto nell’Unione Europea per quantità di tempo speso nel lavoro di cura, con una media di 5 ore. Dati che si scontrano con quelli che riguardano gli uomini: gli uomini occupati dedicano 1 ora e 47 minuti al lavoro domestico e di cura non retribuito. Una percentuale che li posiziona all’ultimo posto insieme ai greci nella classifica del lavoro non retribuito nella Ue.

Una pagina di «Bastava chiedere», nella versione tradotta da Loona Viederman e Giovanni Anastasia

Conseguenze del «carico»: povertà senile e mancata formazione

Le principali conseguenze di questo approccio sono due. Come sottolineato dall’Usb, la prima è il rischio povertà e cattiva salute a cui vanno incontro le donne nella vecchiaia perché «vittime di un lavoro salariato discontinuo e di stress che attiva le malattie, producendo una vecchiaia di salute malferma». «Nel 2018 – si legge – una donna di 65 anni aveva un’aspettativa media di vita di 22,5 anni, 12,7 dei quali con limitazioni nelle attività; un coetaneo aveva un’aspettativa di vita di 19,3 anni, 9,3 dei quali con limitazioni».

La seconda conseguenza ha a che fare con la mancanza di tempo per la propria formazione. Un articolo del The Guardian intitolato «A woman’s greatest enemy? A lack of time to herself» («Il peggior nemico di una donna? La mancanza di tempo per se stessa») metteva in luce come storicamente, a causa del lavoro domestico riversato solo su di lei, le donne abbiano meno occasione per far maturare i propri talenti, coltivare le proprie passioni e formarsi per migliorarsi nella professione.

Screen dall’articolo pubblicato il 21 giugno 2019 su theguardian.com

Proprio a tal proposito, è di recente pubblicazione uno studio del World Economic Forum che ha messo in evidenza come le donne e gli uomini non giochino la stessa partita nella rincorsa all’automazione. Le donne nel mondo occupano tendenzialmente posizioni di lavoro molto più vulnerabili da questo punto di vista (solo il 12% delle posizioni nel cloud computing, ad esempio, sono ricoperte da donne), e, con l’avanzare della società, tra le 40 e le 160 milioni di donne nel mondo saranno costrette a cambiare la loro occupazione nel giro di 10 anni. Una costrizione che, però, va di pari passo con la loro difficoltà «reinventarsi» o «ri-formarsi».

Dati sull’occupazione

Cosa succede se invece si dà un’occhiata al lavoro retribuito? Le cose non vanno meglio. Senza considerare tutto l’universo del lavoro sommerso, in Italia solo il 53% della popolazione femminile ha un’occupazione (dati Eurostat). Nel report dell’Usb, inoltre, è indicato che nel 2018 il 31,5% delle donne nella fascia 25-49 anni «non hanno cercato lavoro perché impegnate nella maternità e nella cura, contro l’1,6% degli uomini». In percentuale, si tratta del 65% delle donne con figli fino a 5 anni, contro il 6,5% degli uomini nelle stesse condizioni familiari.

Dati e grafica Eurostat

Foto in copertina di Vincenzo Monaco per Open

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