Tamponi, zone rosse, anziani abbandonati negli ospizi: ecco l’atto di accusa dei medici contro Fontana e la regione Lombardia

Una lettera forte e sette esempi che fanno luce sulle mancanze della Regione Lombardia nella gestione dell’emergenza sanitaria: «La presa d’atto degli errori occorsi nella prima fase dell’epidemia può risultare utile per il futuro»

Gli anziani morti nelle Rsa non sono numeri. I medici e gli infermieri deceduti dopo aver contratto il Coronavirus non sono numeri. Sono persone, sono storie di familiari che non hanno potuto dire addio al proprio caro e di salme cremate chissà dove. Tuttavia, «non è questo il momento dell’analisi delle responsabilità, ma la presa d’atto degli errori occorsi nella prima fase dell’epidemia può risultare utile alle autorità competenti per un aggiustamento dell’impostazione strategica, essenziale per affrontare le prossime e impegnative fasi». Inizia così il j’accuse della Federazione regionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri della Lombardia e firmata dai responsabili degli ordini di tutte le province lombarde. Una lettera scritta da chi indossa ogni giorno il camice per affrontare l’emergenza sanitaria e rivolta a politici e dirigenti della Regione. I primi della lista, l’assessore al Welfare Giulio Gallera e il presidente Attilio Fontana: «È evidente l’assenza di strategie relative alla gestione del territorio – scrivono dall’ordine, nonostante – l’ottimo intervento sul potenziamento delle terapie intensive e semi intensive, per altro reso possibile dal sacrificio dei medici e degli altri professionisti sanitari».


Il testo racconta di morti che si sarebbero potute evitare, di personale sanitario che sarebbe potuto sfuggire dal contagio, e di «una situazione disastrosa in cui si è trovata la nostra regione, anche rispetto a realtà regionali vicine, che può essere in larga parte attribuita all’interpretazione della situazione solo nel senso di un’emergenza intensivologica, quando in realtà si trattava di un’emergenza di sanità pubblica». Tradotto? Gli amministratori regionali sarebbero stati abbagliati dalla carenza di terapie intensive e non si sarebbero concentrati sul resto. Uno sbaglio riconducibile anche a politiche scellerate: «La sanità pubblica e la medicina territoriale – scrive l’ordine dei medici – sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra regione». Dopo un elenco di errori commessi e relative proposte per cercare di recuperare il tempo perso, la federazione si congeda con amarezza nei confronti delle istituzioni regionali: «Nell’esprimere queste considerazioni, la FROMCeO ritiene di svolgere le proprie funzioni di organo sussidiario dello Stato ed esprime disponibilità a un confronto costante con le istituzioni preposte alla gestione dell’emergenza. Spiace rimarcare come tale collaborazione, più volte offerta, non sia ad oggi stata presa in considerazione».


Ma quali sono state le pecche imputabili a Regione Lombardia? «Ricordiamo a titolo di esempio non esaustivo», si legge sempre nella lettera:

«La mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia, legata all’ esecuzione di tamponi solo ai pazienti ricoverati e alla diagnosi di morte attribuita solo ai deceduti in ospedale. I dati sono sempre stati presentati come “numero degli infetti” e come “numero dei deceduti” e la mortalità calcolata è quella relativa ai pazienti ricoverati, mentre il mondo si chiede le ragioni dell’alta mortalità registrata in Italia, senza rendersi conto che si tratta solo dell’errata impostazione della raccolta dati, che sottostima enormemente il numero dei malati e discretamente il numero dei deceduti».

«L’incertezza nella chiusura di alcune aree a rischio».

«La gestione confusa della realtà delle Rsa e dei centri diurni per anziani, che ha prodotto diffusione del contagio e un triste bilancio in termini di vite umane. Nella sola provincia di Bergamo 600 morti su 6000 ospiti in un mese».

«La mancata fornitura di protezioni individuali ai medici del territorio (Mmg, Pls, Ca e medici delle Rsa) e al restante personale sanitario. Questo ha determinato la morte di numerosi colleghi, la malattia di numerosissimi di essi e la probabile e involontaria diffusione del contagio, specie nelle prime fasi dell’epidemia».

«La pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica, ad esempio negli isolamenti dei contatti, nei tamponi sul territorio a malati e contatti, eccetera».

«La mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio e in alcune realtà delle strutture ospedaliere pubbliche e private, con ulteriore rischio di diffusione del contagio».

«Il mancato governo del territorio ha determinato la saturazione dei posti letto ospedalieri con la necessità di trattenere sul territorio pazienti che, in altre circostanze, avrebbero dovuto essere messi in sicurezza mediante ricovero».

La federazione degli ordini dei medici non rivolge alle istituzioni un semplice documento che evidenzia gli sbagli, ma offre anche alcune proposte che partono dal particolare ruolo ricoperto dagli operatori sanitari durante questa emergenza. «Sottoporre tutti a test rapido immunologico, una volta ufficialmente validato, e, in caso di riscontro di presenza di anticorpi, sottoporre il soggetto a tampone diagnostico». E aggiungono: «In caso di positività in assenza di sintomi potrebbe essere da valutare la possibilità, in casi estremi con l’attribuzione di specifiche responsabilità e procedure, di un’attività solo in ambiente COVID, sempre con protezioni individuali adeguate. Il test immunologico andrebbe ripetuto con periodicità da definire negli operatori sanitari risultati negativi».

Verifiche che, in misura minore, andrebbero estese ai «soggetti che si possono riavviare al lavoro». La raccomandazione dei medici lombardi è di potenziare il più possibile l’attività diagnostica e di testare quanto prima tutti quei soggetti che lavorano nelle cosiddette attività essenziale. «La ripresa del lavoro dovrebbe essere subordinata all’effettuazione del test immunologico». «È evidente come tale procedura comporti un rilevante impiego di risorse, soprattutto umane, ed è altresì evidente come la stessa, al momento, sia l’unica atta a consentire la ripresa dell’attività lavorativa in relativa sicurezza – e concludono -. A tale scopo Regione Lombardia dovrà mettere in campo tutte le risorse umane ed economiche disponibili».

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