Coronavirus, dopo i Navigator arrivano i Distanziator

Ecco perché il piano di impegnare 60 mila persone per far rispettare il distanziamento sociale rievoca infauste esperienze del passato

C’è una figura lavorativa che, nei tanti corsi e ricorsi storici che attraversano il diritto del lavoro italiano, si ripresenta periodicamente: quella del lavoratore socialmente utile. Un lavoratore reclutato e pagato dallo Stato, per svolgere alcuni compiti di pubblica utilità, sulle cui spalle vengono risposte speranze e aspettative molto alte.


La legge Fanfani sul collocamento pubblico

Le prime esperienze di questo tipo risalgono addirittura all’immediata dopoguerra, con i “cantieri scuola” previsti dalla legge Fanfani sul collocamento pubblico (legge 264 del 1949), per poi proseguire negli anni Novanta, quando con la definizione di “lavoratori socialmente utili” si decise di destinare ad alcuni lavori di pubblica utilità dei soggetti che percepivano gli ammortizzatori sociali.


La legge di riforma del collocamento e delle politiche attive del lavoro

Il salto in avanti fu fatto con la legge di riforma del collocamento del 1997 (d.lgs. 469/1997): con tale riforma, alcuni soggetti privi di lavoro potevano essere adibiti a mansioni di pubblica utilità (in alcuni settori specifici: cura della persona, ambiente, territorio e natura, sviluppo rurale, riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali) in cambio di un compenso modesto.

Queste esperienze sono state accomunate da un tratto comune: si sono rivelate, tutte, fallimentari. Le persone coinvolte in questi progetti sperimentali hanno percepito il compenso come un sussidio pubblico, gli enti pubblici di volta in volta coinvolti nella programmazione degli interventi non sono stati capaci di rendere produttive le persone, e alla fine degli incarichi i lavoratori hanno avviato contenziosi per vedersi riconosciuto il diritto a continuare l’attività.

Il reddito di cittadinanza e i Navigator

Il fallimento di queste esperienze non ha frenato il Governo Conte 1, che nell’ambito della riforma del reddito di cittadinanza ha previsto una figura – il “Navigator” – che in cambio di un corrispettivo precario avrebbe dovuto aiutare le persone che si recano nei centri per l’impiego a trovare lavoro. Sappiamo tutti come è andata a finire: i Navigator stanno ancora percependo i loro compensi, ma della loro attività non c’è traccia.

I Distanziator

Quando ancora non è stato capito e digerito il motivo di questo fallimento, ecco che spunta l’idea di reclutare 60 mila persone per aiutare i cittadini a rispettare il distanziamento sociale. Per evitare l’accusa di assistenzialismo, i promotori della proposta hanno fatto trapelare l’idea che si tratterebbe di un incarico volontario: ma si sa come vanno queste cose in Italia, chi entra volontario esce retribuito e assunto (magari senza concorso).

E allora diciamolo con forza: anche i Distanziator, versione rivista e aggiornata dei Navigator, sono destinati ad approdare dove sono finiti tutti gli altri lavoratori socialmente utili, in un limbo di persone che attendono un reddito garantito per svolgere compiti fumosi e poco chiari. Perché non fermarsi invece di andare incontro a un fallimento annunciato?

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