«Uno schermo e tanta buona volontà»: la didattica a distanza vista da San Vittore

L’emergenza Coronavirus ha travolto le carceri da innumerevoli punti di vista. Tra questi c’è l’istruzione, che è andata avanti a fatica grazie all’impegno degli insegnanti e la voglia degli studenti. Il racconto di Luca Leccese

Coronavirus, ultime notizie (6 agosto)


È il 24 febbraio, sono i giorni del carnevale. Luca Leccese, giovane professore di italiano che lavora a Milano, è tornato in Puglia dalla sua famiglia per passare insieme qualche giorno di festa. Mentre cerca di godersi i primi raggi di sole, la tv annuncia che gli spostamenti tra regioni sono vietati a causa della diffusione inaspettata del Coronavirus. Nel giro di qualche ora, Luca si ritrova quarantenato fuori dalla Lombardia. Come tutti gli altri suoi colleghi, nelle settimane di pandemia si deve ingegnare per portare avanti il suo programma didattico nonostante l’emergenza sanitaria. Ma la difficoltà, per lui, è doppia: i suoi studenti sono detenuti del carcere di San Vittore e l’interruzione della frequenza sta creando non pochi ostacoli al proseguo delle attività. Il diritto allo studio, però, è una cosa seria – anche e soprattutto nei centri di detenzione. E una strada per continuare la troverà.


Fare Dad in carcere

L’8 giugno 2020 è stato l’ultimo giorno di lezioni anche per gli studenti della casa circondariale, ma la situazione è rimasta bloccata da inizio marzo fino a metà aprile. Con lo scoppio dell’epidemia prima, e le proteste dei detenuti poi, le attività di educazione all’interno dei San Vittore hanno subito una brusca – e imprevista – interruzione. «Quando ci sono state le rivolte scatenate dallo stop alle visite dei familiari noi siamo stati allontanati da misure necessarie», spiega Luca. «Non siamo stati riammessi fino a che non si è capito come riorganizzare il tutto. Poi, a metà aprile, il momento è arrivato: il Ministero della Giustizia ha iniziato a chiedere ai carceri italiani in che modo avessero intenzione di garantire il diritto allo studio dei detenuti».

L’organizzazione con cui lavora è pubblica: si tratta di un CPIA, cioè uno dei Centri provinciali (statali) per l’Istruzione degli adulti che si occupa anche di fare lezioni all’interno delle carceri. Dall’alfabetizzazione fino al perfezionamento della capacità, gli insegnanti e gli educatori hanno coinvolto di media- solo a San Vittore – circa 850 studenti all’anno. Quest’anno, gli alunni erano circa 500 e, di questi, Luca e i colleghi sono riusciti a portarne all’esame per la vecchia licenza media (ora si chiama primo livello – primo periodo) solo 4. Per gli insegnanti è comunque un risultato importante date le condizioni, ma visti i dati è indubbio che l’emergenza abbia creato dei disagi non indifferenti ai quali il sistema carcerario in generale non era preparato.

Nel corso dei mesi alcuni detenuti sono stati trasferiti (le alunne del reparto femminile, ad esempio, non erano più a San Vittore) e non hanno potuto completare i moduli. Chi era in alfabetizzazione – soprattutto stranieri che stavano imparando l’italiano – non hanno potuto iniziare il secondo modulo di insegnamenti, e gli unici che sono riusciti ad arrivare in fondo sono stati gli studenti di un altro blocco – quello del primo livello – che da più tempo stavano seguendo i corsi con loro.

Un frame del video girato da Open a San Vittore in occasione del reading per Bruno Brancher

Un computer per (quasi) tutti

«A metà aprile dal ministero iniziavano a chiederci – a noi come alle altre scuole – come avremmo svolto gli esami per la licenza media», racconta il professore. «Abbiamo dovuto fare una scelta: visto che mancava un mese all’esame per quel livello e visto che ci era stata data una stanza piccola, abbiamo deciso di cercare le persone che erano state con noi fin sa ottobre e che avevano già le competenze per poterlo passare».

E così via di inventiva: gli insegnanti di italiano, di arte, di matematica e di tutte le altre materie hanno creato di loro pugno un manuale da consegnare ai 4 studenti (tutti di età compresa tra i 25 ai 50 anni, sia italiani che stranieri) e dal lunedì al venerdì sono riusciti a garantirgli due ore di lezione giornaliere per circa 4 settimane. Come? Con un computer piazzato al centro dell’unica aula nella quale arrivava la connessione internet.

A regime, le aule disponibili ospitano le attività didattiche di 30 classi dei generi più disparati (dalle lezioni di italiano fino ai laboratori artistici). «In questa situazione le difficoltà erano evidenti», racconta Leccese. «Ci siamo detti: ma come facciamo a fare la Dad come la fanno fuori? Qui abbiamo solo un pc a disposizione, loro non possono usarlo né – spesso – saprebbero come fare». L’unico modo era quello di usare uno schermo per fare una classica lezione frontale e preparare gli studenti a un esame che riguardasse una tesina compilativa.

«Mercoledì ci consegneranno tutto e noi li valuteremo senza il colloquio», ha detto. Presenteranno anche un libretto con sopra stampati i loro lavori di disegno svolti durante le ore di educazione artistica con il professore di riferimento.

Uno sguardo al futuro, un piede nel passato

Certo, la questione è tutt’altro che risolta. Eppure, sia gli studenti sia i professori si sentono fiduciosi. «Poter continuare a studiare è stato fondamentale per loro – soprattutto in un momento difficile come questo», racconta. «Non è certo una situazione definitiva, ma una base importante per poter pensare di non lasciare al caso il prossimo anno scolastico».

Secondo Luca, infatti, sarà difficile che a settembre si potrà tornare a fare lezione come nel pre-Covid. L’emergenza sarà ancora invalidante e «il fatto che si sia attivato un contatto online è già una piccola rivoluzione». Un’esperienza che è stata possibile grazie alla collaborazione tra scuola, educatori, direzione del carcere e agenti impegnati nel servizio scolastico. Ma a rimanere scoperti saranno i percorsi di accoglienza e iscrizione, fondamentali per capire l’accessibilità dei singoli ai vari indirizzi.

Ma per quanto ci sia la voglia e l’impegno da parte di allievi e professori – nonché la collaborazione della dirigenza – il vero ostacolo è la struttura. «San Vittore è un carcere grande, dispersivo e vecchio», dice Luca. «Bisognerà trovare una soluzione per poter usare tutte le aule, altrimenti non avremo modo di seguire tutte le centinaia di persone che hanno diritto a un’istruzione. Anche questo è un problema pubblico di cui si dovrebbe discutere molto di più».

Foto copertina: Giada Ferraglioni per Open | Aula scolastica nel carcere di San Vittore, Milano

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