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George Floyd. L’agente Derek era l’attore comico Ben Bailey? Il complottone condiviso da Meluzzi

12 Giugno 2020 - 06:56 David Puente
I complottisti ci riprovano e scambiano l'agente con un attore comico americano pur di vederci una false flag

Alessandro Meluzzi, medico psichiatra e criminologo (la biografia è lunga), pubblica l’undici giugno 2020 un tweet sulla morte di George Floyd riportante lo screenshot di una chat Telegram dove leggiamo: «Il vero nome del pseudopoliziotto, cool e mano in tasca, è Ben Bailey, è un attore, e tutto era stato preprogrammato per creare uno stato di emergenza negli Stati Uniti». Ci troviamo di fronte all’ennesima teoria di complotto.

Il tweet di Meluzzi

L’attore imperfetto

Non è la prima volta che circola una bufala complottista su Derek Michael Chauvin, il poliziotto che con il ginocchio soffocava George Floyd a terra.

Così come in precedenza, si cerca nuovamente di attribuirgli il ruolo dell’attore della false flag organizzata contro Donald Trump attribuendogli l’identità di un comico americano di nome Ben Bailey.

Perché imperfetto? Beh, se devono scegliere un attore per interpretare una false flag vanno a prendere proprio uno abbastanza conosciuto? Non molto intelligente.

I video del comico dal carcere?

Ben è anche uno Youtuber. Il video sotto riportato è datato 25 maggio 2020, la stessa data in cui è stato ucciso George Floyd, ed era una diretta streaming dove erano intervenute anche altre persone insieme Ben Bailey.

Il video seguente era stato pubblicato l’otto giugno 2020, ma ne trovate altri ancora pubblicati proprio mentre l’agente di Polizia si trova in carcere con una costosissima cauzione (un milione e 250 mila dollari) che al momento nessuno pensa di pagare per farlo uscire:

Le foto segnaletiche

Se questo non dovesse bastare a Meluzzi, potremmo iniziare a visionare le foto dell’agente in tenuta arancione da galeotto e quelle dell’attore comico partendo da quella frontale. Diciamo subito che non ci siamo con le orecchie, tanto per citare una delle tante differenze:

Potremmo parlare anche del naso, che già dalla foto frontale mostra sostanziali differenze:

L’agente a sinistra, a destra una foto dalla pagina Facebook del comico.

Somiglianze? Risulterebbe più facile sostenere che Ben sia una sorta di sosia di Paolo Attivissimo con qualche ora (molte) di palestra in più (scusa Paolo):

In entrambe le foto c’è Ben.

Ecco, a proposito di palestra potremmo fare un altro paragone fisico tra l’agente e il comico:

La risposta di Meluzzi

Già bacchettato da alcune testate come Il Tempo, Meluzzi risponde così:

Meluzzi sposa la teoria complottista su Floyd. E il web lo massacra – Il Tempo . Ho sposato solo Cristo e mia moglie! Aprire un dibattito su tante narrazioni di complotti concentrici suscita tante polemiche solo tra dogmatici di verità Bollate da élite!

Bisogna domandarsi se Meluzzi vuole da anni aprire tanti dibattiti, come quello sulle spose bambine (usando una foto che non era affatto un matrimonio tra adulti e giovanissime) o su teorie riguardo presunti legami tra Papa Francesco con Rockfeller e Rothschild (condividendo ancora foto decontestualizzate), o se vuole studiare le reazioni che ottiene dagli utenti che lo seguono e non solo.

La mano in tasca

Tornando all’immagine condivisa da Meluzzi, nel tesso si sostiene che l’agente abbia la mano in tasca. In realtà è il guanto scuro ad ingannare i complottisti:

Guanti neri usati anche da un altro agente tra quelli coinvolti:

Conclusioni

Anche questa volta nessun attore. L’agente e il comico americano sono due persone diverse che vivono in due zone distinte degli Stati Uniti. Al solito, i teorici del complotto cercano anche una minima somiglianza tra due persone per sostenere che ci sia qualcosa di falso e soprattutto cercare di provare la fantomatica false flag. Questo ci riporta alla memoria il complottista Rosario Marcianò che da anni sostiene, attraverso delle foto di un’altra ragazza (una sopravvissuta francese), che Valeria Solesin non sia morta nell’attentato del Bataclan:

Bisogna stare attenti perché, come nei casi come quello di Sandy Hook, prima o poi i fanatici del complottismo potrebbero pagare caro le loro «fake news».

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