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Coronavirus, cosa ci dicono i nuovi focolai nel mondo. Il virologo Maga: «Focus sui luoghi di lavoro»

Dalla Germania a Pechino, cosa sta succedendo nel mondo? Rischiamo una seconda ondata già prima dell'autunno? Ne abbiamo parlato con Giovanni Maga, virologo e direttore dell'Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia

Cina, Germania, Usa, Nuova Zelanda. Negli ultimi giorni nel mondo si sono verificati nuovi picchi di contagi da Coronavirus che hanno attraversato i continenti e hanno messo all’erta i governi, che non si aspettavano la ricomparsa così rapida di nuovi focolai. Il caso più eclatante è sicuramente quello di Pechino, dove negli ultimi giorni si sono accumulati decine di casi (per un totale di 137 al 17 giugno) che hanno costretto le autorità ad approvare nuove misure restrittive, tra cui la messa in isolamento di circa 90mila persone. Il focolaio è stato collegato in gran parte al mercato all’ingrosso di Xinfadi – con una dinamica analoga a quella di Wuahn – che ha, di fatto, messo in allerta tutto il Paese.

Anche in Germania il focolaio nella fabbrica di carne Tonnies, nel Nordeno- Vestfalia, ha provocato la messa in quarantena di circa 7mila persone. L’impresa, nella quale si sono registrati 657 casi positivi, è stata temporaneamente chiusa, causando importanti conseguenze per il mercato tedesco della carne, dove, stando al Consiglio di Gutersloh, verranno a mancare il 20% dei prodotti del comparto. Complessivamente, la Germania conta 189.445 e 8.868 decessi.

EPA/Sascha Steinbach | Duesseldorf

E anche dall’altra parte dell’Atlantico, in alcuni Stati degli USA meridionali (su tutti Florida, Arizona, Oklahoma, Texas, Oregon e Nevada), si sono raggiunti picchi record di contagi. Secondo i dati del 17 giugno, negli Stati Uniti sono stati registrati in totale 24mila nuovi positivi, 3mila in più rispetto allo stesso giorno della settimana precedente. Al Tucson Medical Center, in Arizona, è rimasto un solo posto disponibile in terapia intensiva, mentre nell’Oregon si cerca ora di arginare il focolaio della chiesa della Contea Union, al quale vengono collegati più di 200 nuovi casi di Covid-19.

E mente Donald Trump dichiara pubblicamente di non avere nessuna intenzione di tornare al lockdown, anche in Nuova Zelanda – Paese da poco proclamato Covid-feee- si torna a fare i conti con i primi nuovi casi. Una cifra irrisoria – 3, tutti provenienti da fuori – che muove di poco il bilancio dei casi (attualmente 1.157) ma che fa rialzare le antenne alle autorità locali.

Geografie distantissime, certo, ma che ci mettono davanti alla stessa evidenza: finché anche l’ultimo malato non sarà guarito, il rischio di nuovi focolai rimarrà intatto. A prescindere dalla zona del mondo in cui ci si trova. A spiegarlo a Open è il virologo Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia. Che ha anche un’idea precisa riguardo a quali siano le vere causa dei nuovi contagi.

Il caso di Cina e Germania

«Diciamo che non si può parlare davvero di un ritorno, perché il virus non se ne è mai andato», chiarisce Maga . «E appena trova le condizioni giuste si ripresenta. In questo momento la Cina ha questo focolaio significativo – anche se non sembra estesissimo – che è concentrato su Pechino. La città, proprio come Wuhan, è una metropoli con alta densità di popolazione, grandi numeri di contatti tra i residenti (e non) e dove ogni giorno si muovono tantissime persone. In Germania, invece, abbiamo un focolaio sviluppatosi all’interno di un ambiente molto preciso – i macelli – , simile a quelli verificatisi anche negli Usa».

Secondo il virologo, i due casi sono molto diversi tra loro. A differenza della Cina, in Germania ci sono stati degli elementi specifici relativi all’ambiente del focolaio che ne hanno favorito la diffusione. «Penso alle temperature nelle celle frigorifere – praticamente invernali -, l’umidità, il contatto stretto tra lavoratori malgrado le possibili precauzioni», spiega Maia. Il collegamento con le condizioni di lavoro è innegabile: «Quello nei macelli è un lavoro a rischio perché richiede collaborazione e contatti. Quindi se si verifica – come è successo – l’ingresso di persone positive le condizioni ci sono tutte. Poi nel caso specifico tedesco ci sono lavoratori anche stagionali, provenienti da altri Paesi, che hanno portato altri fattori di rischio.»

Noel Celis / AFP | Pechino, metropolitana. 15 giugno 2020

Entrambi i focolai, comunque, hanno in comune due aspetti. Il prima è che né in Cina né in Germania l’epidemia si era spenta del tutto. «Anche se nel primo caso c’erano poche decine di casi in relazione alla popolazione – insiste Maga – il virus continuava circolare». La seconda è che, fintanto che è in un posto ci sono persone non immuni e non vaccinate, «è sempre possibile una nuova catena di trasmissione».

Gestire i luoghi di aggregazione

Da una parte la carne del macello, dall’altra un ipotetico collegamento con i salmoni importati dalla Norvegia (che ha smentito) che avrebbe provocato la diffusione del Sars-CoV-2 nel mercato di Pechino. Secondo Maga, però, non è questo il punto. «Francamente escluderei che c’entri la carne o il salmone», ha detto. «Non è stato quello il veicolo, anche perché al massimo a rischio sarebbero i consumatori (e anche in quel caso le possibilità sono molto basse). Le analisi degli epidemiologi puntano su altri elementi, sugli ambienti e sulle caratteristiche degli operatori (se hanno avuto casi in famiglia, ad esempio)».

La stessa Germania lo scorso maggio aveva annunciato una riforma nell’industria della carne dopo le impennate dei casi da Covid-19 registrate tra i lavoratori del settore. L’obiettivo è quello di mirare a un maggior controllo nelle fabbriche, vietando il ricorso al subappalto e stabilendo multe fino a 30mila euro per le società che violano le normative sul lavoro.

Il segno di una nuova ondata?

Questi focolai sono quindi indizio di una nuova pesante ondata? «Se il virus esiste, tutto è nelle possibilità», ha detto Maga «Tutto dipenderà da come si riuscirà a contenere le nuove catene di contagio. Per quanto ne sappiamo la Cina ha reagito in maniera molto rapida, ha isolato e tracciato i casi. Ma è chiaro che non è banale intervenire a Pechino».

Una logica che non lascia fuori l’Italia. «Non possiamo dichiararci liberi dal virus finché non ci sarà un azzeramento di casi e dei contagi», ha insistito il virologo. «Oggi abbiamo numeri bassi nella Penisola che autorizzano una ripresa delle attività, ma l’attenzione deve restare alta».

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