Coronavirus, il 20% della popolazione mondiale rischierebbe forme gravi della malattia – Lo studio

Secondo una recente stima, sarebbero 1,7 miliardi i più vulnerabili al Covid-19

Spesso si tende a minimizzare sui rischi del Covid-19, arrivando a riproporre paragoni obsoleti con l’influenza stagionale. «Tanto i casi gravi riguardano solo chi ha patologie pregresse», sentiamo spesso da parte di chi sostiene la tesi di una «pandemia inventata». La rivista Nature ci informa di un’analisi pubblicata su The Lancet, che dà una stima di quanto sia esteso il gruppo dei cosiddetti «vulnerabili», ovvero persone che per ragioni di salute sono maggiormente predisposte al rischio di contagio, e quello di subire i sintomi più gravi della sindrome respiratoria acuta provocata dal SARS-CoV2:


«Oltre il 20% della popolazione mondiale ha almeno una condizione di base che aumenta il rischio di malattie gravi».


Quasi due miliardi di persone a rischio

Parliamo di 1,7 miliardi di persone. Un insieme molto variegato di individui, che presentano almeno una condizione associata a un maggiore rischio di contrarre forme gravi del Covid-19. La ricerca, condotta da Amitava Banerjee e Rosalind M. Eggo col contributo del Centre for the Mathematical modelling of infectious diseases, potrebbe essere di grande aiuto per stabilire strategie mirate; sia per il trattamento farmacologico, teso a prevenire gravi infiammazioni dovute alla tempesta di citochine; sia per la futura somministrazione di un vaccino sicuro, a prova del famigerato Ade, di cui trattiamo in un precedente articolo.

Le possibilità per future ricerche sono infinite – se pensiamo alla possibilità di verificare, se questa ampia fascia di popolazione corrisponde ad altre evidenze in fase di accertamento – come quelle che associano una maggiore virulenza del nuovo Coronavirus con la presenza della neuropilina-1 (NRP1); oppure testare nuove strategie di appoggio alle terapie standard.

I dati di questa ampia analisi provengono da 188 Paesi, riscontrando che sono almeno 350 milioni le persone che dovrebbero essere ospedalizzate, perché in parte presentano sottostanti cattive condizioni di salute. Non parliamo meramente di anziani, ma anche di persone con patologie pregresse.

«Le prove provenienti dalla Cina, dall’Europa e dagli Stati Uniti – continuano gli autori – indicano che individui più anziani, maschi e quelli con condizioni sottostanti come malattie cardiovascolari e diabete sono ad aumentato rischio di gravi COVID-19 e morte. Al momento della ricerca, nessuno degli studi identificati mirava a quantificare il numero di soggetti a rischio aumentato a causa delle condizioni di salute sottostanti».

Come sono distribuiti i «vulnerabili» nel Mondo

Con le maggiori conoscenze acquisite sulla pandemia, si stanno già attuando nel mondo strategie di protezione dei soggetti più vulnerabili. Questo ha portato a creare grandi database internazionali, permettendo ai ricercatori di attingervi. Si tratta quindi di una stima di cui tenere conto per ulteriori studi e strategie di politica sanitaria. Non è un censimento dei cittadini a rischio. 

È stata riscontrata la presenza di uno o più fattori di rischio nel 10% dei soggetti di 25 anni; nel 33% dei cinquantenni; nel 66% dei settantenni. Le persone over 50 presentano con più frequenza malattie renali croniche, cardiovascolari, respiratorie croniche, o diabete. Il 16% dei vulnerabili vive in Africa, e il 31% in Europa. Nella fascia di età sotto i 65 anni prevalgono i maschi, mentre questa differenza diviene meno marcata con l’avanzare dell’età.

Restano fuori dai database i soggetti la cui condizione di rischio non è stata diagnosticata. I ricercatori ipotizzano che siano parecchi. «Se questi individui siano effettivamente infetti e se ricevano o meno cure ospedaliere se la loro infezione è grave, va oltre lo scopo di questa analisi», continuano gli autori.

La maggiore preoccupazione è per l’Africa, dove una pandemia non mitigata potrebbe portare a un incremento notevole dei casi gravi. Le condizioni economiche e sociali possono correlarsi a un maggiore rischio? Questa eventualità viene menzionata nelle conclusioni del paper, ma è una questione che va al di là dei dati raccolti, per quanto è plausibile che rientri nella complessità di fattori che incidono sul fenomeno. 

Foto di copertina: PAOLO RIGHI/ANSA | Terapia intensiva, Bologna.

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