Davanti all'«occasione unica» fornita dai fondi Ue per l'emergenza sanitaria, il segretario Pd spinge ancora sull'uso del Mes, ad oggi lo strumento più rapido in attesa del Recovery Fund
Il segretario del Pd Nicola Zingaretti non sembra aver abbandonato l’idea di convincere gli alleati grillini più dubbiosi sull’uso del Mes. Dopo la lettera più esplicita di fine giugno al Corriere della Sera, nella quale difendeva il fondo salva Stati, Zingaretti torna a scrivere al quotidiano di via Solferino provando a spronare il governo a progettare un «nuovo modello di sviluppo sostenibile per le nuove generazioni», sfruttando al meglio i 209 milioni di euro che l’Italia ha portato a casa con l’accordo sul Recovery Fund per l’emergenza Coronavirus incassato all’ultimo vertice Ue. E senza escludere l’uso del Mes, al di là di «inutili posizioni ideologiche».
Solo un mese fa Zingaretti invitava di fatto il M5s a distinguersi dalla «la danza immobile delle parole, slogan e furbizie» che frenavano il governo al solo pensiero di fare ricorso al Mes. Un appello che dopo un mese non sembra aver fatto breccia nella maggioranza. Stavolta Zingaretti si rivolge all’intero governo, ribadendo quanto sia «necessario fare presto». Gli obiettivi elencati da Zingaretti sono i già noti sullo sviluppo digitale del Paese, assieme a quello della logistica, passando per quello del mercato del lavoro e sulla formazione, soprattutto per donne e giovani.
Come ottenere quegli obiettivi per Zingaretti a questo punto passa in secondo piano, tenendosi fuori anche dal dibattito su eventuali organi extra-governativi o cabine di regia per gestire i fondi Ue: «Il governo scelga gli strumenti migliori per garantire la massima velocità di esecuzione, solo così, con una visione e nuove politiche si crea nuovo “buon lavoro”». E considerando che i primi aiuti dal Recovery Fund arriveranno solo fra diversi mesi, il Mes ad oggi resta l’unico strumento in grado di dare immediata liquidità ai piani italiani.
Eolico offshore. In italiano, eolico «al largo». Per la precisione, nelle acque di mari e oceani. È questa la caratteristica principale di una delle fonti rinnovabili più d’avanguardia nel panorama delle energie sostenibili. Interi parchi eolici vengono costruiti sull’acqua, producendo energia rinnovabile a una quantità ben superiore di una normale centrale a terra.
Si tratta di riuscire a soddisfare più volte l’intero fabbisogno mondiale di elettricità nel giro di un paio di decenni, e a zero emissioni. Il segreto della promettente soluzione energetica sta nella velocità del vento, che lontano dalle coste, viaggia a Km/h molto più elevati.
Come funziona?
La tecnologia utilizzata dai parchi eolici offshore non differisce, nella sostanza, da quelli che siamo abituati a vedere sulla terraferma. Si utilizzano le comuni macchine tripala, in particolare quelle di grande taglia.
Le turbine eoliche galleggianti vengono poi poste sia in acque profonde lontane dalla costa, e quindi in mari e oceani, sia in acque interne più basse, come quelle dei laghi, in cui gli aerogeneratori vengono installati tramite fondamenta fissate sul fondale.
Quello che cambia rispetto alle centrali tradizionali, oltre alla maggiore prestazione di produzione energetica, è la presenza di generatori e linee elettriche subacquee per il trasporto dell’elettricità sulla terraferma.
Quanto costa?
Aerogeneratori e linee elettriche subacquee fanno alzare il prezzo dell’eolico offshore. Oggi costa ben 4 miliardi di dollari costruire gli impianti per un GW di eolico offshore: un costo superiore fino al 50% rispetto ai normali parchi su terraferma, anche se l’Iea – International Energy Agency, organizzazione internazionale intergovernativa nata per iniziativa dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico nel 1974 dopo lo shock petrolifero dell’anno prima – è convinta che il costo scenderà di oltre il 40% nei prossimi dieci anni.
E in effetti la spesa della nuova frontiera energetica sta progressivamente diminuendo, tenendosi comunque inferiore rispetto a quella per la costruzione di nuovi impianti a gas, a carbone o nucleare.
Il rapporto di World Energy Outlook dell’International Energy Agency (Iea) fornisce l’analisi più completa fino a oggi delle prospettive globali per eolico offshore. L’Iea, rileva che la capacità eolica globale offshore potrebbe aumentare di 15 volte e attrarre circa 1 trilione di dollari di investimenti cumulativi entro il 2040. Una prospettiva, sostiene il rapporto, «data dalla riduzione dei costi, da politiche governative di supporto e da alcuni notevoli progressi tecnologici, come turbine più grandi e fondamenta galleggianti».
L’ultimo investimento, risalente a pochi giorni fa, è di 90 milioni di euro. A spendere la cifra è la società di servizi oil Saipem per progetti attualmente in fase di sviluppo al largo delle coste dell’Inghilterra, della Scozia e della Francia. Ciascuna piattaforma avrà una capacità di 1,2 GW (GigaWatt) per un record del progetto inglese che costituirà il più grande parco eolico offshore al mondo, situato a 130 chilometri al largo della costa nord-orientale dell’Inghilterra.
Negli ultimi due anni sono aumentati gli investimenti in nuovi parchi eolici: nello specifico sono stati investiti 6 miliardi di euro per la generazione di 1.4 GW di capacità. Nel 2019 sono stati messi in servizio 10 nuovi parchi eolici offshore in 5 Paesi: Regno Unito, Germania, Belgio e Portogallo.
In Italia la conversione all’eolico offshore è stata segnata da un percorso lungo e travagliato con il caso del parco di Taranto. Con 30 Megawatt di capacità, il primo in Italia e nel Mediterraneo, il progetto ha attraversato circa dieci anni di ostacoli e piccoli passi in avanti, e attualmente sembra aver trovato un buon ritmo di gestione burocratica.
Le ultime autorizzazioni dal ministero dell’Ambiente sono arrivate per il rinnovo della licenza di concessione demaniale marittima per la zona del comune di Taranto e per la richiesta da parte dell’azienda costruttrice di un cambio degli aerogeneratori scelti per la realizzazione.
Un secondo parco molto più grande di quello di Taranto, che continua a scatenare non poche polemiche, con ben 59 pale, sorgerà al largo di Rimini e Cattolica. La società Wind 2000, incaricata del progetto, installerà le turbine a circa 12 chilometri dalla costa, su fondali di 12 metri.
Le più lontane arriveranno a 22 chilometri di distanza. Non occuperà una zona turistica ma nascerà in mezzo alle esistenti piattaforme metanifere. Gli aerogeneratori, poi, non saranno raggruppati ma formeranno tre archi, con una distanza tra una turbina e l’altra di 680 metri, così da non ostacolare la pesca e la navigazione.
Un pericolo oltreché una risorsa?
Le controversie per quelli che alcuni hanno chiamato «ecomostri» non mancano, ma la maggior parte delle associazioni ambientaliste sembrano essere favorevoli all’eolico offshore. Legambiente continua a sostenere la causa dell’eolico in Italia, facendo anche riferimento al rapporto di protesta pubblicato nel 2015, quando il progetto di Taranto subì l’ennesimo stop. Princìpi che vengono portati ancora avanti.
«A Taranto non è l’eolico che rovina il paesaggio ma è l’Ilva», commentano, mentre lo studio americano, pubblicato su Science Direct, dimostra come le installazioni non solo non danneggiano le attività turistiche ma potrebbero anche averle favorite. Riguardo alle rotte di navigazione o alle ragioni ambientali alcuni paesi europei hanno messo in atto strategie attente ma allo stesso tempo rapide nella realizzazione.
In Spagna, per esempio, il governo nazionale ha approvato un piano che individua le aree incompatibili con la realizzazione di impianti eolici per ragioni ambientali o di rotte di navigazione commerciali o militari. Così nelle altre aree si possono proporre impianti da sottoporre a valutazione.
In Francia è stata scelta una procedura differente, che prevede l’individuazione da parte del governo delle aree dove realizzare impianti eolici off-shore e poi la realizzazione di gare per la selezione delle proposte.
In Germania, invece sono state individuate le aree compatibili con la realizzazione di impianti eolici nel Mare del Nord e nel Mar Baltico, e aperto un dialogo con diversi gruppi industriali. Il confronto ha portato all’approvazione di 20 parchi eolici, per complessivi 7mila MW e una produzione che prevede il piano nazionale che dovrebbe garantire, nel 2020, il 13% dell’energia da fonti rinnovabili.
Accanto all’Europa, la Cina ha fatto passi avanti nell’eolico offshore e ora si colloca tra i leader del mercato. Nonostante questo la tecnologia occidentale continuerà a mantenere il primato almeno fino al 2040.
La più grande fonte unica di elettricità entro il 2040
Oggi la capacità eolica offshore nell’Unione europea ammonta a quasi 20GW, alimentando appena lo 0,3% della produzione elettrica a livello globale. In base alle attuali politiche, dovrebbe salire a circa 130 GW entro il 2040.
Secondo l’Iea c’è però una strada ancora più proficua: se l’Unione Europea raggiungesse i suoi obiettivi di neutralità del carbonio, la capacità eolica offshore salterebbe a circa 180 GW entro il 2040 e diventerebbe la più grande fonte unica di elettricità della regione.