Libia, 45 morti in un naufragio: tra loro anche cinque minori. L’accusa di Oim e Unhcr: «Ritardi nei soccorsi inaccettabili»

«Circa 37 sopravvissuti, provenienti principalmente da Senegal, Mali, Ciad e Ghana, sono stati soccorsi da pescatori locali e posti in stato di detenzione dopo lo sbarco». E hanno raccontato quello che era successo

La conferma ufficiale ora, purtroppo, c’è. Almeno 45 persone sono morte in un naufragio al largo delle coste della Libia. A darne notizia è l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (Oim) che definisce il naufragio insieme all’Unhcr «il peggiore quest’anno» in termini di vittime. Insieme all’affondo: i ritardi recentemente registrati nel soccorso di migranti al largo della Libia sono «inaccettabili» e ai mercantili che offrono aiuto non dovrebbe essere imposto (come è, giacché si lascia il coordinamento, quando c’è, a Tripoli) di ricondurre le persone in Libia ma va offerto loro subito un «porto sicuro» – definizione che, come noto, al Paese è tutt’altro che possibile applicare. Il naufragio, secondo le testimonianze raccolte dalle agenzie Onu, è avvenuto il 17 agosto. «Circa 37 sopravvissuti, provenienti principalmente da Senegal, Mali, Ciad e Ghana, sono stati soccorsi da pescatori locali e posti in stato di detenzione dopo lo sbarco», si legge in una nota. I sopravvissuti hanno raccontato al personale dell’Oim «che altre 45 persone, compresi cinque minori, hanno perso la vita a causa dell’esplosione del motore dell’imbarcazione al largo della costa di Zuara».


«Esortiamo gli Stati a rispondere rapidamente al verificarsi di tali eventi», dicono le agenzie Onu per i migranti Oim e Unhcr in una nota, «i ritardi registrati nei mesi recenti, e l’omissione di assistenza, sono inaccettabili e mettono vite umane in situazioni di rischio evitabili. Senza un’operazione di soccorso dedicata e un meccanismo per gli sbarchi guidati dall’Ue, altre vite andranno perse nel Mediterraneo».


L’accusa

Secondo le ong che operano nel Mediterraneo centrale e secondo Alarm Phone, i centri di coordinamento europei – quindi di Italia e Malta – in caso di barchini segnalati non rispondono, non intervengono e al massimo «scaricano» la questione sulla cosiddetta guardia costiera libica, che spesso non arriva e quando arriva riporta i migranti in un Paese, la Libia appunto, che tutto è tranne che un POS – place of safety – per naufraghi ai sensi del diritto internazionale. Il 17 agosto la notizia di un naufragio era già stata data anche da Alarm Phone. Secondo il loro report, il 15 agosto 2020, la piattaforma «è stata allertata da un’imbarcazione in pericolo con circa 65 persone a bordo, appena fuori dalle acque territoriali libiche. Abbiamo allertato più volte le autorità e condiviso le posizioni Gps della barca in pericolo, ma sembra che non siano state effettuate operazioni di soccorso. Abbiamo perso il contatto con il gommone bianco dopo la nostra ultima chiamata» sempre nella serata del 15 agosto, «alle 22.25 CEST, dove le persone avevano chiesto disperatamente aiuto. I parenti hanno contattato Alarm Phone».

Una scena che si starebbe ripetendo anche in queste ore: Alarm Phone segnala di aver perso da ieri qualsiasi contatto con un’imbarcazione con a bordo oltre un centinaio di persone e in difficoltà – secondo la segnalazione – nella zona di Ricerca e Soccorso maltese.

Cosa sta succedendo in mare

Di più. Secondo le segnalazioni raccolte da Alarm Phone, nel pomeriggio la situazione nel Mediterraneo centrale contava quattro imbarcazioni disperse e in difficoltà: 3 in zona Sar maltese (una prima con 120 persone a bordo, ultimo contatto oggi a mezzogiorno, un’altra con un’ottantina di persone di cui non si hanno più notizie dalle otto di stamane e una terza con 150 persone dispersa da ieri) e una a largo della Libia con un centinaio di persone, ultimo contatto ieri.

Il tutto, senza (o quasi) ong nella zona, con buona pace del famoso effetto pull factor che infatti non è mai stato confermato dai dati. Solo pochi giorni fa è tornata in zona la tedesca Sea Watch, mentre oggi è ripartita alla volta del Mediterraneo centrale un’altra ong, la spagnola Open Arms, con il veliero Astral.

Video Open Arms

«La condizione di estrema vulnerabilità delle persone in fuga dall’inferno libico su imbarcazioni precarie nel Mediterraneo centrale, è stata esacerbata negli ultimi mesi dal consolidamento degli accordi disumani tra Italia, Malta e il governo di Tripoli», attacca Open Arms, «grazie ai quali l’omissione di soccorso in acque internazionali è diventata norma, in violazione dei trattati internazionali e delle leggi marittime che tutelano la vita umana in mare».

In copertina OIM/Twitter | La costa libica davanti a Zuara

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