«Aprite le finestre». Ecco perché il ritorno sicuro a scuola passa dalla ventilazione – L’intervista

L’Oms ha riconosciuto che il Sars-Cov-2 può viaggiare per via aerea. La direttrice di ricerca dell’Istituto nazionale francese per la salute e la ricerca medica Isabella Annesi-Maesano spiega a Open perché è necessaria una buona aerazione delle classi

Era il 4 luglio di quest’anno quando il New York Times pubblicò una lettera firmata da 239 scienziati dal titolo: «It is time to address airborne trasmission of Covid-19» («È ora di affrontare la questione della trasmissione aerea della Covid-19»). Il giornale riprendeva una pubblicazione apparsa originariamente sulla rivista scientifica di Oxford. Nel giro di qualche giorno dalla sua diffusione, l’Oms si affrettò a dichiarare pubblicamente che sì, non ne sappiamo molto, ma è indubbio che il Coronavirus viaggi anche per via aerea. Non solo distanza di sicurezza, quindi: alla vigilia del rientro a scuola bisogna parlare anche di ventilazione.


Il dibattito pubblico e politico finora si è concentrato poco sull’importanza dell’aerazione degli ambienti – pure citando il ricambio dell’aria nelle varie linee guida della scuola e dei trasporti. Incentrare la questione sulla ventilazione sembrerebbe un gioco a perdere. In Italia esistono poche strutture con impianti di depurazione adeguati, e il rischio è quello di incartarsi in un problema senza soluzioni immediate. In ogni caso, però, non serve disperarsi: bastano piccole accortezze per ridurre al minimo la diffusione del virus per via aerea.


L’epidemiologa Isabella Annesi-Maesano, che ha revisionato e poi co-firmato la lettera inviata all’Oms, spiega al telefono che l’importante è non dimenticarsi di «aprire le finestre». Anche in Francia, dove vive e lavora (è direttrice di ricerca del dipartimento delle malattie allergiche e respiratorie dell’Istituto nazionale francese per la salute e la ricerca medica), la questione della trasmissione aerea del virus non ha avuto troppo risalto in vista della ripartenza scolastica di settembre. Ma non per questo le riaperture vanno sacrificate.

Come viaggia il Sars-CoV-2 nell’aria

Dalla lettera «It is time to address airborne trasmission of Covid-19»

Il 1° settembre scorso, sul Jama International Medicine è uscito uno studio interessante. La ricerca, condotta in Cina lo scorso 19 gennaio, ha dimostrato come un solo positivo asintomatico a bordo di un autobus abbia contagiato altri 23 passeggeri solo attraverso “il respiro”. Per tutta la durata del viaggio – circa 100 minuti – nessuno di loro aveva la mascherina e non c’era alcun sistema di aerazione efficace sul mezzo. Non è certo il primo esempio di trasmissione attraverso aerosol (cioè particelle molto piccole che vengono trasportate dall’aria) e non attraverso droplet – le goccioline infette che cadono da bocca e naso fino a quasi due metri di distanza. A far rumore era stato un altro «evento superdiffusore» (gli esperti iniziano a concordare sul fatto che sia più corretto parlare di «evento» e non di «persone»): a Skagit, negli Stati Uniti, durante le prove di un coro composto da 61 elementi, un solo positivo ne aveva contagiate almeno altre 32.

Insomma: particelle di virus possono essere emesse cantando, respirando parlando. Ma questo non significa che il Coronavirus sia in grado di coprire grandi distanze semplicemente cavalcando il vento. «Il virus ha un diametro di circa 100 nanometri – sottolinea Annesi-Maesano – e può rimanere nell’aria per un bel po’ di tempo. Sue tracce possono essere ritrovate lontano della persona che le ha emessi, ma direi che il massimo della distanza è di 7 metri». Parallelamente, non è detto che tutto il Sars-Cov-2 presente nell’aria sia infettante. «Uno studio condotto a Bergamo e Brescia – spiega l’epidemiologa – ha dimostrato come nel particolato dell’aria si possano trovare anche tracce di Coronavirus. Ma non è detto che poi questo agisca e infetti le persone: ecco perché è necessaria uno spettro di definizione maggiore tra positivi e malati».

Cosa fare nelle scuole: mascherina il più possibile e finestre aperte

E proprio da questo punto, secondo l’epidemiologa, bisogna partire per valutare la ripartenza. «Intanto bisogna dire che, a parte qualche caso rarissimo, i bambini sviluppano l’infezione in modo benigno», spiega. «In Francia, all’ospedale di Nantes, si sono testati per una statistica tutti i bambini che arrivavano in ospedale per i motivi più diversi». «A risultare positivi sono stati solo 4 bambini su mille. E non significa che fossero malati: alcuni studi inglesi, focalizzati sulla catena di trasmissione nei bambini della scuola primaria, hanno dimostrato come nessun bambino positivo al tampone aveva trasmesso il virus ai parenti. Anzi, avviene molto più spesso il contrario».

EPA/AMANDA SABGA

L’attenzione all’aerazione, quindi, è qualcosa a cui bisogna guardare soprattutto a tutela dei docenti e del personale, più a rischio per quanto riguarda la contrazione dei sintomi gravi della malattia – e, di conseguenza, anche molto più in grado di trasmettere la Covid-19. Cosa si può fare, quindi, a partire già da lunedì prossimo? «Due cose molto semplici: mascherine professionali il più possibile per i professiori e stare in aule che permettano una buona aerazione». E quando arriverà l’inverno? «Spero che a dicembre saremo in una situazione migliore su tutti i livelli – dice Annesi -Maesano – ma in caso contrario bisognerà continuare così. O puntare sui sistemi di ventilazione artificiali, come i depuratori: ne esistono moltissimi sul mercato, anche se non mi sentirei di dire che, allo stato attuale delle cose, abbiano un’efficacia al 100%».

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