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Zingaretti (e il governo) evitano la spallata. Il centrodestra non perde ma Salvini è deluso. Ecco perché

21 Settembre 2020 - 21:19 Giovanni Ruggiero
La tempesta elettorale delle Regionali ha ridato forza al segretario del Pd, che ha evitato la sconfitta in Toscana. Ma ha anche riaperto la partita sulla leadership nel centrodestra

All’ultima curva di queste Regionali arriva un pareggio che per il centrodestra ha il sapore della delusione per l’occasione persa, per il centrosinistra invece tutta l’aria di uno scampato pericolo. Prima che le proiezioni lanciassero Emiliano in Puglia e Giani in Toscana con un vantaggio sempre più rassicurante, in pochi tra le fila del Pd avrebbero messo la mano sul fuoco su una vittoria in due regioni che rischiavano di passare di mano.

La posta in gioco era alta, a cominciare dal segretario del Pd Nicola Zingaretti, che davanti a una sconfitta nell’ultima vera roccaforte rossa rimasta, avrebbe avuto pochi argomenti per restare al suo posto. E non meno ha rischiato il governo, che davanti a un possibile cappotto si sarebbe ritrovato a portare avanti la fine della legislatura molto più in salita.

Poco male se da questa tempesta elettorale, il Pd ha perso per strada una regione come le Marche, mai governata finora da una forza di centrodestra. Incassati i risultati in Puglia e Toscana, con la Campania mai in discussione, Zingaretti, tra i primi a commentare i dati ancora parziali, ha subito lanciato una frecciatina a chi, fino al giorno prima, lo criticava per il corteggiamento al M5s, ma anche a chi gli rimproverava troppa timidezza su quel fronte.

Il suo Pd ha perso certo in Liguria, unica regione in cui si è realizzata l’alleanza con i grillini, ma ha perso nelle Marche dove i voti dei grillini sarebbero stati preziosi. E si è imposto in Puglia e Toscana come primo partito, là dove quel matrimonio non s’aveva proprio da fare per eccessiva distanza tra le posizioni locali.

I tormenti grillini

Se qualcuno ha ora da guardarsi in casa sono proprio i vertici del Movimento Cinque Stelle. La balcanizzazione nazionale è emersa plasticamente sui vari fronti persi alle Regionali. Non basta la vittoria al Referendum sul taglio dei parlamentari, che Luigi Di Maio si è affrettato a festeggiare, appuntandosela sul petto come una medaglia personale.

I nodi da sciogliere per il M5S restano tutti e anzi si fanno ancora più stretti dopo queste Regionali, nelle quali l’emorragia di voti ha dimostrato ancora una volta l’urgenza di uscire dall’ambiguità: a Roma alleati con il Pd, nel resto d’Italia quasi amici giurati. E la condanna della sindaca di Torino, Chiara Appendino, a spoglio in corso, non aiuta certo il Movimento, che vede indebolita oggi una delle poche donne simbolicamente importanti anche in chiave di futura leadership.

La partita riaperta nel centrodestra

Se Zingaretti, e il governo, possono tirare un sospiro di sollievo, d’altra parte nel centrodestra c’è chi può considerarsi deluso. A cominciare da Matteo Salvini, che deve accontentarsi del buon risultato della lista del Carroccio nelle Marche e in Toscana, ma deve buttar giù il boccone amaro del mancato colpaccio. Per il leader leghista queste Regionali potevano essere l’occasione per rendere la sua leadership nella coalizione indiscutibile.

La spinta però è stata più debole di quanto sperasse. E non solo per la disfatta di Susanna Ceccardi, ma anche per i magri risultati raccolti in Puglia e Campania, dove la Lega progettava da tempo di imporsi nella coalizione. Salvini deve fare i conti con l’ascesa di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, che non solo porta a casa un governatore in una regione simbolica come quella marchigiana, ma registra il primo posto nella coalizione in Puglia.

A chiudere l’accerchiamento che rallenta Salvini c’è poi il risultato della Lega in Veneto, dove a trionfare è stato esclusivamente il presidente uscente Luca Zaia. Il peso della lista del “Doge” è dato dai numeri che farebbero l’invidia di partiti che faticano a superare il 3% nazionale. Abbastanza per spianare la strada all’ambizioso Zaia.

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