Inchiesta sui test sierologici, acquisito il contenuto dei cellulari del governatore lombardo Fontana e dell’assessore Gallera

Il legale del governatore leghista chiarisce: «Non è indagato». E parla di un atto «di dubbia costituzionalità»

La Guardia di Finanza ha acquisito il contenuto del cellulare del governatore della Lombardia Attilio Fontana. Il blitz riguarda l’inchiesta con al centro l’accordo tra la multinazionale Diasorin e il Policlinico San Matteo per lo sviluppo dei test sierologici e molecolari per la diagnosi della Covid-19. La stessa operazione è stata eseguita sul telefono di Giulia Martinelli, responsabile della segreteria del presidente lombardo ed ex compagna del leader della Lega Matteo Salvini, e di Giulio Gallera. «Il presidente Fontana non è indagato – ha chiarito il suo legale, l’avvocato Jacopo Pensa – ha subito una perquisizione presso terzi. Non gli è stato sequestrato nulla». E ha aggiunto: «E’ grave, però, che la perquisizione sia avvenuta con modalità non pertinenti alle finalità dell’operazione, con un decreto non circostanziato ma applicabile a chiunque e con evidenti criticità di carattere costituzionale, vista la ovvia presenza di conversazioni di carattere istituzionale nel cellulare del presidente Fontana».


Con le copie del contenuto dei telefoni gli investigatori hanno acquisito in pratica tutte le chat, le email e i messaggi del governatore. Il Consiglio di Stato, a metà luglio, aveva sospeso gli effetti della sentenza con cui il Tar lombardo aveva azzerato l’accordo, su ricorso della Technogenetics, concorrente nel settore. Pochi giorni dopo è uscita l’indagine dei pm di Pavia a carico di otto persone, tra vertici del San Matteo e della multinazionale farmaceutica. Quindi sono arrivate le prime perquisizioni in uffici e abitazioni. Turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente e peculato le ipotesi di reato.


L’ipotesi dei pm

«La scelta operata dal policlinico San Matteo di procedere a un accordo diretto con Diasorin, tra i tanti operanti sul mercato, è apparsa subito viziata – hanno scritto i pm nel decreto – da un evidente conflitto d’interessi in capo al professor Baldanti (Fausto ndr.), che ricopriva contemporaneamente il ruolo di responsabile scientifico del progetto di collaborazione Fondazione San Matteo e Diasorin e la carica di membro del Gruppo di lavoro del Consiglio superiore di sanità presso il Ministero della salute competente per la valutazione del test». Secondo i pm, sarebbero stati «utilizzati beni mobili, materiali (personale, laboratori e strumenti) e immateriali (conoscenze scientifiche tecnologiche e professionalità)» sottratti «alla destinazione pubblica per il soddisfacimento di interessi privatistici che restavano nell’esclusiva titolarità di privati, anziché dell’Ente che aveva finanziato la ricerca». Gli stessi inquirenti hanno evidenziato la necessità di far luce sui “legami politici” che possono aver influito sulla scelta di Diasorin come partner del San Matteo.

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